Quando arriva a Quo Vadis, Baby?, Gabriele Salvatores è già Gabriele Salvatores, un Oscar sul comodino (1992), uno dei pochissimi film di fantascienza di produzione italiana che si ricordi da decenni (1997), un piccolo gioiello come Kamikazen a far da biglietto da visita (1987), ed una cifra narrativa già alquanto delineata, quella della fuga dal grigiore della routine quotidiana verso posti esotici, con l'illusione di ricominciare da capo dopo i 40. Con la sceneggiatura tratta da Io Non Ho Paura (2003) di Niccolò Ammanniti inizia forse una nuova fase nella carriera del regista, che abbandona un po' lo stereotipo della fuga dalla realtà e dalle responsabilità, che cominciava obbiettivamente a diventare troppo caratterizzante. Anche Quo Vadis, Baby? è tratto da un romanzo, quello omonimo di Grazia Verasani. Premesso che non so pronunciarmi sulla correttezza filologica della trasposizione, non avendo letto il libro, posso limitarmi alla visione del film, che definirei un thriller non thriller. O meglio, una storia drammatica, d'introspezione e fortemente psicologica, dissimulata sotto l'abito di un film di genere thriller i cui elementi sono presenti, ma rimangono come lampadine spente. Può darsi che qualche spettatore sia rimasto deluso per questa promessa mancata (ed infatti la pellicola ha ricevuto più critiche che lodi) ma, a mio modesto parere, tale delusione, ancorché legittima, equivale a non aver afferrato fino in fondo il film che Salvatores intendeva fare. Quo Vadis, Baby? si serve di topos codificati ma li usa esclusivamente come propellente per spingere in avanti la propria (rappresentazione della) storia, cannibalizza il genere, depotenziandolo ed esplorandone soprattutto la componente più ombrosa ed oscuro, persino sofferente, in altre parole, noir.
Quo Vadis, Baby? è un racconto dannato e afflitto, anche se la croce è portata con estrema asciuttezza e sobrietà. Un canovaccio sul quale si incrociano e si accavallano ambasce molteplici, ed il cui epicentro sembra abitare il corpo e l'anima della protagonista, Giorgia Cantini (Angela Baraldi), investigatrice privata dolente, al soldo dell'ingombrante ed austero padre, detto il "capitano" (Luigi Maria Burruano). Giorgia è un lupo solitario, respingente, difficile, pieno di grovigli che anche lei pare aver rinunciato a sciogliere. Tuttavia come spesso accade, la vita, lo scorrere delle cose, gli eventi e le casualità la porteranno su di una strada del tutto imprevista, che la costringerà a fare i conti con se stessa e con il proprio passato mai risolto, ma solo seppellito. Al di là della trama, ciò che interessa è come Salvatores gira il film e racconta i personaggi. Quo Vadis Baby? non è accogliente, non è lineare, non è una discesa agile per lo spettatore, non è Mediterraneo; pur essendo molto "cinematografico" - e dunque accattivante per definizione - Salvatores rifugge ogni ruffianeria, ogni ammiccamento, ogni patina, ogni facile amo per accalappiare lo spettatore. Intanto sceglie Angela Baraldi, quasi una non attrice (anche se in realtà la musicista bolognese coltiva a suo modo un flirt con il cinema), non fa nulla per renderla attraente fisicamente ed emotivamente, bensì sfidante in entrambi gli aspetti. La inserisce in un contesto intenso e disagevole, gira buona parte del film al buio ed il perno su cui tutto ruota è sempre femminile. Droga, suicidio, adulterio, amore saffico, fragilità emotiva, voyeurismo, anaffettività (e non finisce qui, ma non proseguo oltre per non spoilerare), la pellicola è piena zeppa di "politicamente scorretto", argomenti con i quali lo spettatore è costretto a scendere a patti per sapere cosa sia successo. Salvatores li affronta di taglio, non ne fa il centro della vicenda (il centro è la Cantini), ma osserva come tutto ciò si riverberi sulla protagonista. Per rendere il tutto ancora più sottile, dispensa di riferimenti e citazioni le tappe del viaggio, tanto cinematografiche quanto musicali. Si allude e/o si nominano esplicitamente film e registi; vediamo spesso locandine che non sembrano affatto casuali, ma chiamate a riassumere in sé un dato momento della storia. Idem accade con diverse canzoni iconiche, certamente care a Salvatores (dai Ramones agli Ultravox, dai Talking Heads ai Blondie, etc.), con particolare menzione per "Impressioni Di Settembre" dei PFM, che apre il film e lo chiude, in una versione interpretata dalla stessa Baraldi. Altra finezza di Salvatores è quella di dispensare lo script di personaggi la cui inziale sia A, ed è proprio "A" che la Cantini sta cercando per risolvere dopo 16 anni il mistero del suicidio della sorella Ada (un'altra A), o meglio, della sua morte.
I personaggi di Quo Vadis, Baby? sono tutti molto arcigni, alfieri di una realtà altrettanto dura, negativa, pessimista. Il calore umano è un tepore appena percettibile, e la Cantini ha ancora più difficoltà di altri a percepirlo. Quando si apre, riceve subito uno schiaffone, a conferma di quanto fosse corretta la sua indole solitaria ed autarchica. Il finale risolve ma, se possibile, lascia un'altra cicatrice sul suo corpo stropicciato e vissuto. Salvatores non ci regala un film corroborante ed edificante, ma solo una serie di pennellate sulla natura umana, condannata al dolore. Incomprensibile alla luce di tutto ciò, la locandina del film, quella si ruffiana e tutta volta ad acchiappare un po' di pubblico pagante in cerca di chissà quali malizie. Quo Vadis, Baby? non ne ha neanche un briciolo, anche le due scene di sesso tra la Baraldi e Gigio Alberti sono quasi antierotiche, in linea con la frugale essenzialità e la "rabbia" della Cantini. Volente o nolente, lo spettatore sarà costretto ad immedesimarsi nella Cantini, adoperandosi come lei in una caccia; a ciascuno la propria, mentre la donna troverà "A", a noi sarà concesso di esplorare l'universo ordito da Salvatores e percepirne3 la fuggente vitalità, come fuoco che cova sotto la cenere, un privilegio affatto trascurabile quando si tratta di cinema. Dal film nacque una miniserie televisiva di cinque puntate, prodotta da Sky e Colorado Film (andata in onda nel 2008), sempre con la Baraldi nel ruolo della Cantini.