Un titolo che è un pezzo di storia del cinema (e del costume) italiano. Ubalda (Edwige Fenech), è un gran pezzo di.... quel gran pezzo dell'Ubalda è chiaramente una metafora, dove Ubalda oltre ad essere una "madonna" è anche quella particolare parte anatomica che la madonna cela sotto le vesti. E l'Ubalda è tutta nuda e tutta calda...ma stiamo parlando sempre della Fenech o.... Mariano Laurenti era uno specialista di finesse e noblesse oblige, e una roba del genere porta inequivocabilmente il suo marchio di fabbrica. Il film che dirige nel 1972 mette a segno diversi primati; intanto incassa quasi dieci volte il suo costo; dà il via a quella costola di decamerotici di atmosfera comunque boccaccesca ma dall'impianto non necessariamente attinente alle novelle istituzionali; e si fregia di un titolo-filastrocca che, come detto, crea un franchising. Da quel momento in poi, arriveranno pellicole con titoli chilometrici e con un nome di donna contenuto all'interno (La Bella Antonia Prima Monica E Poi Dimonia, Giovannona Coscialunga Disonorata nell'Onore, eccetera). Inoltre, merito non da poco, l'Ubalda è il film che lancia nell'immaginario maschile italiano la Fenech, dal 1972 scatta la dannazione di quel corpo perfetto, quel musino da gatta, quello sguardo irresistibile. La Fenech arriva a questo film dopo una rinoplastica che le lascia un bel bubbone post operatorio sul nasino all'insù, tant'è che viene chiesto a Karin Schubert (Madonna Fiamma) di doppiarla sistematicamente nelle scene di profilo, così da coprire l'handicap. E già perché l'Ubalda ha pure la Schubert come coprotagonista. Un derby mica da ridere tra l'algerina e la tedesca, che si scontrano a colpi di seni, cosce e spalline scoperte.
La trama vede il militare Olimpo De' Pannocchieschi (Pippo Franco) e il mugnaio Mastro Oderisi (Umbero D'Orsi) contendersi le mogli (rispettivamente la Schubert e la Fenech). Secondo gli stilemi tipici della commedia sexy, i due sono destinati ad andare perennemente in bianco, gabbati dalle proprie mogli altamente mignotte, che preferiscono sollazzarsi con gli aitanti fisicacci del paese, compreso il fratacchione Pino Ferrara, che non perde occasione per "mondare" dal peccato giovanotte piacenti. Quel Gran Pezzo dell'Ubalda Tutta Nuda E Tutta Calda è il banco di prova della prosopopea critica; vi lascio immaginare gli strali di fuoco che i Guidobaldo Maria Riccardelli hanno riversato sopra il film di Laurenti; tuttavia, a sorpresa, Walter Veltroni nel 1994 ha rivalutato questa "immonda pecorecciata", spendendo parole elegiache. Ha parlato di "presepe minimalista", e a proposito del titolo lo ha definito "eccezionale nella descrizione di un'atmosfera", nonché "tenero" (il produttore Luciano Martino affisse la critica nel suo ufficio). Grazie anche a questa insperata agiografia del film, è fiorita tutta una controcultura critica di rivalutazione, che perlomeno ha ridato dignità a pellicole che non meritavano di essere disintegrate perchesssì. Vaglielo a spiegare al Mereghetti ("un film che trasuda stupidità e volgarità ad ogni inquadratura").
Forse la scena più bella e significativa del film, che si presta per altro ad una duplice lettura. Da un lato quella più immediata e superficiale, il gioco erotico tra i due, concretizzato dalla incredibile morbidezza del seno di Edwige che ballonzola ad ogni passo della corsa, panna montata che sembra dover evaporare da un momento all'altro verso il cielo, una tenzone piccante e licenziosa che viene affrontata con particolare dolcezza e delicatezza da Laurenti, il quale fa ricorso al rallenty, ad una musica gioiosa di commento, e alla solare presenza della Natura che accoglie i due amanti. Ciò che accade è un sogno, una proiezione dei desideri di Pippo Franco, che vorrebbe possedere Madonna Ubalda, e solo nel mondo onirico lei gli si concede, affettuosa e rassicurante. D'altro canto però, quel momento così aulico e sereno isola i due protagonisti dal resto del mondo reale, e c'è chi ha visto in tanto struggimento il momentaneo alleviarsi delle sofferenze umane, soprattutto quelle inflitte dalla Storia all'uomo, le angherie, i dispiaceri, le sconfitte, le prepotenze; tutto viene messo da parte, ibernato, cancellato, a fronte di un unico eterno momento di benessere ed appagamento, nel quale l'uomo - tornato quasi bambino - viene accolto tra le braccia di un'amante burrosa e generosa, quasi fosse una coccola materna. Dioniso che annienta la Morte, attraverso la perfezione della bellezza e la forza dell'amore. Stefano Loparco ne Il Corpo dei Settanta (Ed. Il Figlio, 2009) parla della Fenech/Ubalda come della rappresentazione (michelangiolesca) della potenza del corpo che impone meraviglia e stupore erotico in chi la osserva per la sua quint'essenza giunonica, sensuale, armonica. La contemplazione di un tempio che però è tutto carnale, e dunque viscerale anche negli istinti che scatena. Il film venne subito vietato ai minori di 18 anni, assurdamente, perché nemmeno si può realmente parlare di erotismo, tanto è naive e ingenuo. In televisione venne riproposto in versione censurata, e stampato in VHS per la prima volta ben 30 anni dopo la sua uscita nei cinema. Roba che Arancia Meccanica è Dumbo. Da segnalare, tra le pulzelle deflorate dal fratacchione, pure una giovane e bella Gabriella Giorgelli.