Pret-A-Porter

Pret-A-Porter
Pret-A-Porter

Ventinovesimo titolo in carriera di Robert Altman, incastrato tra due lavori molto riusciti come America Oggi (1993) e Kansas City (1996) e che, come spesso accaduto con il regista statunitense, è letteralmente inondato di scritturati, 31 attori ai quali aggiungere altre 14 celebrità che nel film impersonano loro stesse (Cher, Harry Belafonte, i vari stilisti e le modelle che si susseguono da Gautier, a Ferrè a Trussardi, alla Christensen, etc.). Pret-A-Porter è un grande mistero, cosa voleva veramente realizzare Altman con questa pellicola? Non so rispondere, ma posso dire che l'impressione che ne ho ricavato è perfettamente tripartita: 33% di gigantesca marchetta, costantemente scandita da griffe, loghi e marchi pubblicitari; 33% di affresco-documentario (molto leggero, vacuo e superficiale) sul mondo della moda, sul giornalismo che lo vezzeggia e lo idolatra, e su tutto l'indotto mediatico che lo accompagna a vario titolo; 33% di brutto film, pigro, autocelebrativo e un po' vanaglorioso. Si è scritto che Altman meglio di chiunque altro celebri l'effimero, il salottiero, il mondano, il pettegolo, in poche parole il circo della Moda con tutti i suoi rivoli ed affluenti. Oltre 2 ore durante le quali è davvero difficile non perdersi, o peggio, non annoiarsi. Altman dissemina le sfilate ed il chiacchiericcio inutile con micro storielle che in qualche maniera dovrebbero puntellare una sceneggiatura altrimenti inesistente.

Tim Robbins che amoreggia con Julia Roberts, Stephen Rea e il trio "macbeth" Linda Hunt/Sally Kellerman/Ute Lemper, Anouk Aimée e il suo terribile figlio Rupert Everett (perso in relazioni adulterine e ricambiato con la stessa moneta dalla moglie) alle prese con la crisi finanziaria della maison, la Sofia Loren e Marcello Mastroianni in una parodistica riedizione di Ieri, Oggi e Domani, Kim Basinger telegiornalista d'assalto, tresche incrociate - etero ed omosessuali - tra stilisti. Briciole senza sostanza gettate in un frullatore di amenità. Verrebbe facile fare un parallelismo tra l'inconsistenza tanto della forma  quanto della sostanza, Altman avrebbe così tracciato il cerchio perfetto; tuttavia, anche fosse, Pret-A-Porter rimane (per me) un film non riuscito poiché a conti fatti tedio e uggia mi sono piovuti addosso troppo spesso durante la visione, e non può certo essere un po' di nudo dispensato col contagocce a rinfrancare lo spettatore. Il frizzantino dello champagne non si avverte e dunque la mission principale del film pare molto vicina al fallimento. La satira altmaniana è davvero spuntata, inconsistente, se riduce tutto ai battibecchi e alla carrellata meramente entomologica di piccole bizzarrie di un mondo capriccioso e stravagante per definizione. Robbins, la Roberts, Kim Basinger, il povero Mastroianni, sono del tutto sprecati, sottoutilizzati, persino un po' umiliati (ma certamente i loro consulenti bancari devono averla pensata diversamente). Pret-A-Porter sembra fatto con gli occhi chiusi, partorito per inerzia, per altro col ricorso ad un bombardamento incessante di musica da passerella che finisce col sopperire alla mancanza  strutturale di dialoghi degni di tal nome. Per pungere non basta l'autista di colore che dice: "i bianchi sono tutti uguali, li distinguo solo dai vestiti che indossano", il gargantuesco divertissement di Altman (e magari di una fetta di addetti ai lavori) rischia di divertire solo lui. In America il film è uscito come Ready To Wear poiché i produttori ritennero che il pubblico americano non avrebbe compreso il titolo originale (in francese). Satira per satira...

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