Ci voleva un remake di Point Break? Più in generale, ci vogliono tutti i remake che vengono sempre più frequentemente prodotti da Hollywood? Eh, il discorso si farebbe lungo e ci porterebbe troppo in là, limitiamoci a capire come è venuto all'ex direttore della fotografia - ora regista - Ericson Core, il nuovo Point Break 2.0, a distanza di 24 anni dall'originale. Secondo la logica che spesso affligge lo zio Sam, di più è meglio. Più grande, più grosso, più esagerato, più esplosioni, più spettacolarità, più tatuaggi, più ciuffi sparvieri, più del più del più. Quindi se prima i criminali della Bigelow erano surfisti spericolati (e anche un po' piacioni), adesso sono atleti di sport estremi a 360 gradi: motocross, alpinismo, volo acrobatico, surf, snowboard, paracadutismo, rapine, e ovviamente riescono al meglio in tutto. Sempre. Numeri uno. Dove si applicano stabiliscono guinness. E il poliziotto che si mette sulle loro tracce (Luke Bracey al posto di Keanu Reeves) pure. E' un ex atleta di sport estremi anche lui e, a parte surfare un muro d'acqua senza mai averlo fatto, e toppare leggermente, per il resto spacca ogni volta, anche quando scala a mani nude le Angel Falls in Venezuela, anche quando si getta nel vuoto centrando una funivia, anche quando svolazza con la tutina aerodinamica tra le Alpi, non lo aveva mai fatto ma bum, bingo, epic win. Il film è tutto così, scena action all'ennesima potenza, visivamente appaganti, ma onanistiche ed autocompiaciute. Bodhi (Edgar Ramirez) e la sua banda non legano neppure le scarpe a Swayze. Viene introdotto il nuovo concetto delle 8 prove di Ozaki, con relativo sottotesto mistico-spirituale. Poi succede che durante un'impresa la ganga trucidi quintalate di Carabinieri (perché siamo in Italia) e poveri Cristi, ci vuole il pallottoliere. Ma dopo, quando l'agente dell'FBI ligio al dovere, Johnny Utah, è ad un passo dall'acciuffare Bodhi, lo lascia libero di gettarsi tra le onde in tempesta un'ultima volta, per rispettare la sua volontà e la sua esigenza di essere tutt'uno con la grande Madre Natura. Aver seccato più esseri umani di Goebbels non fa testo, certe cose le capiscono solo quelli che surfano le onde da 30 metri che si manifestano ogni milamila anni da qualche parte sul pianeta.
E' tutto estremamente vuoto e superficiale, ogni personaggio (boss dell'FBI, la sgallettata con cui flirta Utah, l'agente francese Pappas, etc.) è una figurina con uno - massimo due - tratti caratteriali delineati, tanto per non impegnare troppo lo spettatore. Utah è una specie di robottino e gli spericolati che insegue sono buoni per una pubblicità di un profumo di qualche stilista tonto ma glamour. Un mondo finto e posticcio, per un'esibizione di testosterone senza se e senza ma, che dura ininterrottamente 114 minuti, con la Bigelow affetta da reflussi gastrointestinali. Il film non c'è, ci sono solo le infinite, estenuanti riprese di imprese ardite tra montagne, mari e cieli. Manco la colonna sonora è all'altezza (eppure, quella nel primo era di prim'ordine). I dialoghi credo li abbia scritti Chuck Norris, o tutt'al più Steven Segal. L'intenzione dichiarata di Core era di realizzare un film che violasse le leggi della fisica. Obbiettivo riuscito. La fisica è indubbiamente sconfitta in Point Break 2015. Dice che perlopiù le smargiassate sono vere, realizzare da veri stuntmen assunti da Core, refrattario al green screen. Fico, Red Bull e Gatorade saranno contente, lo spettatore meno, nel senso che forse tra una sboronata e l'altra si aspettava anche uno straccio di film, almeno gli pareva di aver pagato un biglietto anche per quello. Alla fine della fiera, la cosa buffa è che il film della Bigelow, la signora Bigelow, è infinitamente più virile e solido del pompatissimo remake. Puoi riempire i fotogrammi di anabolizzanti quanto vuoi, ma senza una sceneggiatura vera e rispettosa non avrai una storia potente, solo una spettacolare serie di cose spettacolari. Anche se nella locandina inverti biondi e mori (addirittura!).