E' il terzo film che vedo di Olivier Marchal (per la precisione, il secondo da regista, uno come interprete, Diamond 13) e per la terza volta rimango ampiamente soddisfatto. L'ex agente di polizia conosce perfettamente l'ambiente di cui tratta e spesso si rifa a storie vere rielaborate per il cinema. Anche L'Ultima Missione (orribile ed anonimo titolo italiano per MR 73, che sta per il revolver Manhurin MR 73, in dotazione alla Polizia nazionale francese negli anni settanta) è una di queste, terribile a pensarci, se le cose sono andate effettivamente così. Un racconto disperato, nero e distruttivo il cui unico momento di sole è rappresentato dalla nascita di un bimbo, un evento positivo e avente in sé un'idea di futuro, di domani, che altrimenti il film negherebbe in tutto e per tutto. I personaggi sono buchi neri, entropia che avvinghia a sé la materia e la disintegra. Daniel Auteil è fenomenale nel riuscire ad attraversare i generi, dalla commedia al poliziesco noir e nichilista. Il suo Louis Schneider è un cavallo a fine corsa, devastato dalla vita e rimasto in piedi solo perché, come accade ai pugili grandi incassatori, non riesce materialmente ad andar giù, al tappeto. Nel distretto di Polizia dove lavora le cose vanno malamente, i colleghi sono da scansare, quasi peggiori dei criminali. Schneider ci mette del suo e deteriora ogni situazione nella quale è coinvolto. Viene estromesso dal caso al quale lavora, ma lui continua a lavorarci ancora ed il marcio viene a galla come una fontana. Marie Angeli (Catherine Marchal) gli dà una mano come può, tra i due i rapporti non sono facili (il motivo c'è ed è quasi insormontabile), ma nonostante tutto le cerca di proteggerlo come può. Poi ci sono i superiori, i parigrado strafottenti e gli antagonisti (Francis Renaud) che non aspettano altro di vedere Schneider cadere.
Marchal dà un tono incredibilmente intrigante al film, pessimista e duro come il cemento, ma non per questo meno affascinante. Siamo alla deriva, all'ultima fermata prima del buio, del nulla, di una notte eterna dalla quale proprio non ci si riesce a svegliarsi. Non ci si affiderebbe volentieri nelle mani di nessuno di quei poliziotti, corrotti, abituati all'abuso di potere, oppure vittime di equilibri di forza che non possono ribaltare, come la Marchal. Non bellissima ma di una intensità pazzesca, la moglie di Olivier lo accompagna in molti suoi film, magari come personaggio non principale ma sempre funzionale ed essenziale alla storia ed alla buona riuscita del film. Auteil è un gigante, la storia gli viene cucita addosso e lui la cavalca e la doma con una naturalezza ed una spontaneità rara. Quando arriva la pioggia è un uragano di sentimenti, le strade sono sempre notturne e sporche, gli impermeabili nascondo anime fragile, perdute o insanabilmente distrutte; gli elementi del polar francese ci sono tutti e Marchal ci aggiunge un tocco di crudezza biografica e di modernità che rendono peculiari le sue storie. Molto buoni i dialoghi, mai banali, buttati lì o tirati via tanto per confezionare "uomini duri" fatti con lo stampino. La voce di Leonard Cohen sembra fatta apposta per impedire al cuore di riprendere a battere ed il finale è di un'amarezza e di un fatalismo affatto semplici da digerire. Esattamente come il protagonista del film, anche Marchal da poliziotto ha incontrato la figlia delle vittime del brutale omicidio e grazie a questo film ha potuto in qualche modo liberarsi dal fantasma di quel passato. Una pellicola di grandissimo fascino ma che non fa sconti.