
Su ogni film di Fulci sono state scritte enciclopedie che spesso e volentieri più che di cinema trattano di psicanalisi, psicopatologia, delle paturnie di Fulci, della sua (presunta) misoginia, della sua (presunta) misantropia, e come trattava gli attori, e come trattava le attrici, e quanto abbaiava sul set, e il nichilismo, eccetera eccetera. Certamente anche dentro Lo Squartatore di New York ci sono tutte queste tematiche ed oltre. Si è parlato di formalizzazione della sua visione esistenziale nichilista e pessimista, si è parlato di inizio della fine, del film che sancisce il declino di Fulci, al punto che i suoi fan col prosciutto sugli occhi lo idolatrano a prescindere (come qualunque cosa abbia fatto in carriera) mentre i critici di Fulci lo criticano a spada tratta. All'epoca come ogni sua pellicola venne distrutto, massacrato e smembrato, esattamente come fa lo squartatore con le sue vittime, la rivalutazione è arrivata dopo ed a tratti è talmente andata oltre da diventare parossistica all'inverso, totalmente acritica e benevola. Trattandosi di un capitolo feroce e violentissimo della filmografia fulciana, Lo Squartatore Di New York tradisce lo spirito dionisiaco ed edonista degli anni '80, proponendoci una visione di quella decade - sebbene agli inizi - e del sogno americano al negativo, bassifondi, strade impestate di locali votati al sesso ed al suo consumo a pagamento, donne squartate, solitudine, aggressività (si pensi al tizio nel maggiolino rosso che si scaglia contro Cinzia De Ponti), malessere sociale, espresso in particolare dal dialogo di Andrea Occhipinti con Almanta Suska nel quale accusa la città di New York di non premiare il merito o la bellezza e di cannibalizzare i propri figli. Si avverte subito questo essere nel posto sbagliato, nel tempo sbagliato a fare cose sbagliate in compagnia di persone sbagliate, o quantomeno tutte fuori posto. C'è del nichilismo in tutto ciò? Certo, ovviamente.
Ogni personaggio porta il suo trauma. Alessandra Delli Colli è una ninfomane frustrata; suo marito Cosimo Cinieri gode morbosamente delle cassettine audio che la moglie ricava dai propri incontri sconci (e verrebbe da pensare alluda all'impotenza del marito); il tenente Jack Hedley è un poliziotto superficiale e frequentatore di prostitute; il professore universitario Paolo Malco è un vanesio maniacalmente intento a giocare a scacchi (un po' puerile il ritrarlo sempre con quella scacchiera tra le mani, d'accordo il sottotesto ma... anche meno); Howard Ross è un maniaco sessuale tossicodipendente; Zora Kerowa si guadagna da vivere come prostituta nei live show dei localacci di quart'ordine (in teoria a New York, in realtà a Trastevere dove erano gli interni di quella scena); l'anatomo-patologo Giordano Falzoni ha un perverso senso dell'umorismo (come tutti i coroner da che cinema è cinema); Babette New è una vecchietta affittuaria che si impiccia dei fatti altrui; Occhipinti e la Suska.... beh, guardate e capirete. Insomma, se vivi a New York è molto probabile che il tuo vicino di casa sia uno spostato. In questo contesto Fulci ambienta la sua storia di un serial killer che ammazza donne giovani e belle a colpi di ferite da taglio (coltelli, rasoi, lamette, bottiglie spezzate) preferibilmente inferte al basso ventre, altrimenti con sevizie varie (capezzoli divisi a metà, pupille passate per la lama, etc). Un bel repertorio di sangue che scorre copioso e inarrestabile per la gioia dei cultori dello splatter.
La fotografia di Luigi Kuveiller è davvero molto bella, nitida e pulita, e se avrete la fortuna di gustarvi il film magari nell'edizione bluray della Blue Underground potrete apprezzare l'incredibile meraviglia dei fotogrammi offerti da Fulci. Per quanto fetida e pericolosa, la sua new York è estremamente affascinante e il regista ci si sofferma molto, rendendola in qualche modo un personaggio del film. L'uomo che si accoppia con la Kerowa è Urs Althaus, che un paio d'anni dopo entrerà nel cuore di molti italiani come Aristoteles, il grande attaccante brasiliano della Longobarda di Oronzo Canà (ne L'Allenatore nel Pallone). La Kerowa racconta di una scena molto sofferta e complicata da girare anche perché fu rivelata all'attrice il giorno stesso e, a suo dire, Althaus era gay, con tutto l'imbarazzo del caso in un contesto di quel tipo. Jack Hedley invece fu scritturato praticamente il giorno dell'inizio delle riprese; il suo è probabilmente il personaggio che mi è piaciuto di meno, assai poco carismatico, soprattutto in un film del genere, dove l'eccesso e il sopra le righe sono un po' i binari principali. Quella sua aria mesta e dimessa smorza un po' il lato glamour, ancorché violento, del film. Sul versante opposto la Delli Colli, vera macchina del sesso con il suo corpo generosamente offerto allo spettatore, con le sue espressioni impagabili, con il suo erotismo urlato. Fulci riempie i 90 minuti con tante autocitazioni, dalla mano iniziale ritrovata dal cane sotto il ponte di Brooklyn (vedi Zombi 2), al paperino (vedi naturalmente Non Si Sevizia Un Paperino), dall'occhio spappolato (Zombi 2 e L'Adilà) all'inseguimento nella metropolitana, che in realtà cita Landis e il suo Un Lupo Mannaro Americano A Londra (omaggiato anche in una scena dove si mostra un cinema che lo proietta). La chiusura sulla povera bimba morente ed abbandonata in ospedale che telefona inutilmente al padre è un po' lacrimevole, sin troppo pietistica ma probabilmente anche quel momento va inquadrato tra gli eccessi di Fulci, decisamente a briglia sciola in questo Squartatore di New York. Impossibile dire che il film non diverta o non intrattenga, né che non sia girato in modo estremamente accattivante, che poi sia un "mattatoio" (come scrisse all'epoca La Repubblica) è altrettanto vero, gli stomaci forti sono avvisati. Sono totalmente d'accordo con Mereghetti che definisce inappropriata la colonna sonora di Francesco De Masi che pare scritta per tutt'altra tipologia di film e appiccicata a forza in questo slasher. Intrigante invece come sempre la locandina disegnata da Enzo Sciotti.