Turi Vasile, uomo attivo a tutto campo, dal teatro alla letteratura e invischiato nel cinema ad ogni livello, dalla sceneggiatura (per Luigi Zampa, Michelangelo Antonioni, Renato Rascel), alla produzione ed dalla regia, nel 1960 dirige il suo ultimo film dietro la macchina da presa, il qui presente Le Signore, su soggetto nientemeno che del futuro produttore Luciano Martino e di Sergio Corbucci. Trattasi di tipica commedia del periodo, incentrata ineludibilmente sui rapporti uomo/donna, marito/moglie, con tutte le pruderie del caso derivanti dall'eterna lotta tra moralismo cattolico perbenista, rinnovamento dei costumi e trasgressione che nell'Italia del dopoguerra ha occupato tutti gli anni '50 e soprattutto 60, fino al fatidico '68.
Le Signore non è un film ad episodi ma poco ci manca; sovrappone e fa scorrere in parallelo la storia di quattro donne (e relativi mariti), con il collante del salone di bellezza nelle quali le signore sono solite recarsi, gestito dall'esuberante René, finto omosessuale interpretato da Enrico Maria Salerno. La cubana Rosario (Chelo Alonso) è l'amante del cumenda Fabretti (Livio Lorenzon) la quale, smascherata dalla moglie (Irene Tunc) dell'adultero, si presta ad un raggiro per estorcere 2 milioni e mezzo da devolvere alla donna per non essere svergognata (salvo poi scoprire che la presunta moglie è una delle tante altre amanti del cumenda, intenzionata a prendersi una rivincita in pecunia); Patrizia (Liana Orfei) è la moglie devota di un antropologo (momentaneamente alla ricerca dello yeti sull'Himalaya) che gradualmente cade nelle grinfie di un giornalista di cronaca nera e mondana (Paolo Ferrari); Giulietta (Fernanda Pasqui) è la moglie di Attilio (Paolo Panelli), attorucolo senza arte né parte, mantenuto dalla moglie, il quale flirta sfacciatamente con Nota (Bice Valori), a sua volta moglie insoddisfatta del dentista Ercole (Francesco Mulé), che lei vorrebbe perennemente mettere a dieta e che comanda a bacchetta come una Franca Valeri farebbe col consorte cretinetti; infine Tatjana Baker (Nadia Grey) è una vedette russa che, capitata di passaggio nel salone di René, scopre che l'estetista è tutt'altro che indeciso sui propri gusti sessuali, cedendo alle lusinghe del focosissimo latin lover italiano, nonostante questi abbia moglie (Antonella Steni) e quattro figli, che mantiene proprio spacciandosi per omosessuale e acquietando così la potenziale gelosia dei mariti che mandano liberamente le propri mogli a farsi massaggiare e spogliare "senza rischi".
La pellicola mette in scena le classiche dinamiche del "genio" italico, fatto di scorciatoie, di carpe diem, di truffe ai danni del prossimo malcapitato, di donnine irreprensibili che poi sotto sotto cedono e di uomini perennemente alla caccia. Il tipico quadretto nostrano, fatto di situazioni buffe, ironiche, vagamente salaci (per quello che la censura dell'epoca poteva concedere) ma che si fermano sempre un attimo prima del fattaccio. Alla fine della fiera qualcuno rimane fregato, col cerino in mano, e più o meno scornato. Oltre ad un ritmo forsennato, la differenza la fanno gli attori, e le attrici in questo caso. Grande mattatrice la grandissima Bice Valori, adeguatamente spalleggiata da Francesco Mulè orsacchiotto bastonato; belle e sensuale Liana Orfei (l'unica che rimane in lingerie a favore di telecamera); piccante e latina la Alonso, volto noto del nostro cinema esotico fatto di pirati, Macisti e scimitarre saracene, una sorta di Belen Rodriguez ante litteram; irresistibile come sempre Paolo Panelli, con i suoi tempi comici stralunati, affettati e fulminanti. Più sottotono Enrico Maria Salerno, nonostante sia il trade union di tutto il collage narrativo, un po' abbacchiato da un ruolo così così; idem accade alla sua compagna, la romena Nadia Grey, qui spacciata per russa, ingabbiata in un ruolo fin troppo ingessato.
Un film estremamente carino e godibile anche se datato, vuoi per un bianco e nero appesantito dal tempo e affatto "classico", vuoi perché davvero rispecchia un'Italia lontana anni luce da quella di oggi, incapace di essere volgare anche sotto sforzo (ovviamente mi riferisco a quella del 1960, perché oggi è l'esatto contrario, la volgarità c'è anche quando non si vorrebbe). Musiche del Quartetto Cetra, oltre a due canzoni cantate pure dalla Grey e dalla Alonso, quest'ultima anche ballerina (assistiamo ad una sua caldissima performance tutta curve con vestito super glitterato ed attillato). Dà colore anche il personaggio dello stupidissimo industrialotto settentrionale interpretato da Lorenzon, altra figura assai ricorrente di queste nostre commedie del periodo .