La Svastica Nel Ventre

La Svastica Nel Ventre
La Svastica Nel Ventre

C'è una differenza abissale tra Salon Kitty di Brass e tutte le altre pellicole appartenenti al cosiddetto filone nazierotico, ed è la ragione per la quale nessuno degli epigoni è mai riuscito neppure lontanamente ad avvicinarsi all'opera di Brass (che pure aveva visto i propri numi tutelari in Visconti con La Caduta Degli Dei, nella Cavani con Il Portiere Di Notte, in Pasolini con Salò, quest'ultimo in realtà uscito praticamente in contemporanea al cinema, giusto un paio di mesi prima, sempre nel '76). Brass mette due anime nel film, diverse e distinte, e sta bene attento a non mischiarle, a non confonderle, a non giustificare la prima con la seconda e viceversa. Le polarità di Salon Kitty sono l'erotismo e l'attacco al potere; Brass sa bene che sono due argomenti che non legano, ma trova ugualmente forma e contesti per farli procedere parallelamente. Col risultato che Salon Kitty è un film profondamente erotico, ma anche sottilmente arguto nel criticare e ridicolizzare il Potere con la P maiuscola, anche nella sua manifestazione più sgradevole, cruda ed efferata come è stata quella del nazismo. I momenti erotici di Salon Kitty lo sono profondamente, per davvero, scabrosi (visto tutto quel profluvio di svastica e abiti in pelle) ma al contempo eccitanti. E verso il sopruso, la violenza e la sopraffazione delle SS Brass usa l'arma del dileggio, della berlina, del miserabile.

Tutta la nazisploitation venuta dopo questa finezza non l'ha capita, o forse l'ha addirittura giudicata una debolezza, un vezzo autorale, preferendo esaltare i singoli aspetti fino al grottesco ed al parossismo. Ecco allora mischiare senza remore la violenza sessuale con le torture, il gore con le nudità, gli orrori clinici con le perversione, ricorrendo spesso e volentieri alla giustificazione paravento che il Nazionalsocialismo è stata la forma di perversione più diabolica mai manifestatasi nella storia dell'umanità. Aggiungeteci le perenne difficoltà finanziarie nelle quali il cinema di genere (e segnatamente i naziporno) navigava, ed ecco venire fuori prodotti ai limiti del bestiale, cinicamente affogati nella stessa violenza senza senso che di fondo avrebbero dovuto stigmatizzare. Un ambiguo gioco delle parti che ha condotto molti critici (più o meno prevenuti) ad identificare i nostri b-movies sui nazisti come "nazisti" essi stessi. La Svastica Nel Ventre di Mario Caiano (diretto sotto lo pseudonimo di William Hawkins) è uno di quelli meno rozzi, ma che può ugualmente essere ricondotto alla schema su menzionato. E' vero che bisogna riconoscergli un tentativo di sceneggiatura più curata del solito, qualche interpretazione dignitosa (ad esempio quella della protagonista Sirpa Lane) ed un'aderenza quasi filologica al film di Brass, tuttavia va anche detto che sempre di copia si tratta e assai imbruttita.

Gli elementi tipici del genere ci sono tutti, il campo di concentramento sadico, le detenute trasformate in prostitute, gli stupri, le secondine kapò col vizietto saffico, un campionario di depravazione inesauribile tutto appannaggio degli alti gerarchi teutonici, il soldatino buono ancorché nazista, il bordello, Wagner. Caiano mescola il tutto scrivendo la storia di Hannah Mayer (Sirpa Lane), ebrea amata dal militare nazista Klaus Berger (Roberto Posse). L'avvento della guerra separa i due destini, lui viene spedito al fronte, lei dapprima internata in un campo di concentramento, poi asservita ai desideri sadomasochistici di Von Stein (Giancarlo Sisti), ufficiale a capo del campo al quale viene affidato il compito di istituire il più grande bordello di tutti i tempi per deliziare i combattenti tedeschi. Hannah, trasformata in Lola, diventa la maitresse del casino e vive con disincanto la sua nuova vita, cercando di dimenticare tutto ciò che è stato prima dell'incontro salvifico con Von Stein. Nel frattempo Klaus, sopravvissuto alla linea del fronte, ritrova Hannah proprio al bordello, ed il loro incontro tornerà a far sanguinare le ferite sopite della donna. - SPOILER: in un finale drammatico, Hannah decide di riscattarsi dal male subito e dai compromessi ai quali è dovuta scendere; uccide Von Stein, rivela la sua identità con fierezza a tutti gli avventori del bordello e riesce a freddare a pistolettate un alto generale nazista prima di venire a sua volta uccisa.

Come detto, la messa in scena e l'impressione generale suscitate da La Svastica Nel Ventre (titolo assai più ammiccante di quanto in realtà la sceneggiatura poi non disegni) è mediamente migliore rispetto a tanti altri film del filone, anche se soprattutto la parte relativa al bordello è ricalcata vistosamente su Salon Kitty. Lo sviluppo psicologico del personaggio di Hannah è frazionato e comunque Caiano qualche capriccio "estremo" se lo leva, si veda la punizione inflitta alla detenuta che aveva subito tre rapporti dai suoi superiori, l'elemento zoofilo del pastore tedesco di Von Stein che la Lane dovrebbe soddisfare, o le scene di stupro, sempre particolarmente crude. Ecco, semmai dove Caiano riesce bene è nel tasso fortemente drammatico di molte situazioni, confinate perlopiù nella prima parte, dove il regista tenta di rendere il senso di apocalisse dettato dall'avvento del nazismo (concretamente rappresentato da molti filmati documentaristici in bianco e nero, sempre accompagnati da marcette militari). Il tutto per altro contrasta molto (e volutamente) con l'inizio idilliaco, ambientato tra le montagne di Heidi, dove Klaus e Hannah girano in bicicletta e amoreggiano tra paesaggi paradisiaci. La prima volte che vidi il film ricordo che ne ebbi una buonissima impressione; devo dire che, rivisto a distanza di tempo, il mio giudizio si è molto ridimensionato. Mi sono stupito di quanto la prospettiva possa cambiare, o forse invecchiando gli eccessi diventano sempre più un fastidio anziché un intriganti fughe dall'ordinario.

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