Emilio P. Miraglia gira un numero ristrettissimo di film in un fazzoletto di anni, sei per sei, attraversando generi diversi, dallo spionaggio al thriller, dal western al giallo. La Notte Che Evelyn Uscì Dalla Tomba sta nel mezzo della sua produzione, all'altezza del 1971, ovvero quando Dario Argento aveva già concluso la sua personale trilogia zoologica. Si cita Argento perché non si può prescindere dal suo timbro per molti film del periodo, compreso Evelyn, che non si esaurisce con Argento (perché sarebbe disdicevole non citare anche Bava, ad esempio), ma certo vi pesca a piene mani. Miraglia per la verità inaugura il filone che coniuga i nomi femminili nei titoli, mescola il giallo all'italiana con elementi soprannaturali e non si fa mancare - naturalmente - un po' di erotismo torbido.
Nello specifico la vicenda vede il nobiluomo Lord Alan Cunningham (Anthony Steffen) afflitto da gravi paranoie nervose a causa della morte della moglie, la leggendaria Evelyn appunto. Ciò lo porta a ricercare continuamente rosce procaci che poi puntualmente sevizia e uccide, come sorta di punizione inflitta alla moglie che a suo tempo sorprese in una relazione adulterina. Tutto sembra acquietarsi quando finalmente convola a nozze con la bionda Gladys (Marina Malfatti), tuttavia è solo un'apparente quiete prima della tempesta. Le visioni di Evelyn torneranno ad ossessionarlo e l'intera vicenda si avvierà verso un'ecatombe di morti in un cupio dissolvi. - SPOILER: a posteriori scopriamo che il povero Cunningham è sì mezzo pazzo, ma innocente di ogni delitto addossatogli poiché, al culmine del delirio, puntualmente sviene; le sue vittime sono state uccise dal cugino George (Enzo Tarascio), il quale ha ordito un complotto a scopo ereditario, nel quale è coinvolta pure Gladys, sua amante, Susan (Erika Blanc), una spogliarellista che Alan crede di aver ucciso e forse persino zia Agata (Joan C. Davies), la quale però viene eliminata sempre da George perché non parli. Miraglia dunque gioca con elementi paranormali salvo poi svelarci che era tutto un trucco e che il grande inganno celava ragioni e moventi perfettamente logici e spiegabili, nonché banalmente criminali, nella miglior tradizione del giallo.
La sceneggiatura a tratti è un po' confusa, affastellata, e certo la mano di Miraglia non è particolarmente elegante e affettata, anzi. Tuttavia Evelyn ha una sua forza visiva e visionaria che vive principalmente proprio della grana grossa con cui è girato e raccontato. Sa più di opera pop psichedelica che di rigoroso giallo algebrico. Miraglia pesca in tanti calderoni ma poi sul finale riconduce in fila ordinata la carne messa al fuoco. La recitazione degli attori protagonisti è molto calcata, caricaturale. Steffen su tutti è un catalogo di facce esaltate ed espressioni parossistiche, e sfoggia un guardaroba che va da Mal dei Primitives al monatto pestilenziale. I suoi primi piani quando è in preda alle visioni sono impagabili. Non sono da meno le primedonne della pellicola, la Malfatti, bella e sensuale (e costantemente senza reggiseno), e la Blanc, un po' Patty Pravo un po' Amanda Lear. Quest'ultima in particolare si esibisce in uno strip a sfondo necrofilo che certo rimane impresso (così come il suo costume, con mutandona della nonna). Assai più misurati Tarascio e Giacomo Rossi Stuart, che nel film è il professor Timberlane, lo psichiatra che ha in cura Alan (senza risultati evidentemente). Terribili i suoi dialoghi con Steffen nei quali, in spregio a qualsiasi metodo scientifico, gli intima praticamente di guarire e smetterla di fare il deficiente.
Miraglia concede molto spazio ai nudi femminili (e alle parrucche!), è il caso della prima prostituta, Maria Teresa Tofano, della Blanc e della Malfatti, in misura di cm di epidermide direttamente proporzionale al numero di pose ed al loro "screening time" (il tempo che compaiono nel film). Belle le ambientazioni "inglesi", che molto più prosaicamente sono venete, castello compreso, così come gli arredamenti, le scenografie, ed i vestiti dell'epoca, veri very seventies. Intenso e convulso il finale, sebbene rimangano un paio di punti interrogativi irrisolti, per colpa di una sceneggiatura non ben sviluppata. - SPOILER: mi riferisco al redivivo Alan, il quale torna grazie ad un piano evidentemente ordito con Timberlane ma senza che allo spettatore sia spiegato alcun perché o percome, nessun antefatto, solo lui che ricompare e te lo pigli nei denti; e alla seduta spiritica nella quale si materializza Evelyn, il che porterebbe a pensare che tutti i presenti tranne Alan fsiano coinvolti nel complotto. Deduzioni che lo spettatore si fa da solo, senza alcun conforto di Miraglia.
Suggestivi i momenti girati nel parco, tra la vegetazione notturna, le apparizioni spettrali e la cripta di famiglia. Niente di sensazionale ma tuttavia assai divertente, ben orchestrato e colorato. Evidente l'usufrutto di atmosfere gotico/orrorifiche alla Edgar Allan Poe o comunque vagamente hammeriane e medievaleggianti, con l'apporto di strumenti di tortura, feticismi di fruste, boia e catacombe. A speziare il tutto ci sono le musiche di Bruno Nicolai, sempre una garanzia. il film ha avuto il suo quarto d'ora di celebrità in negativo perché Stephen King lo ha amabilmente stroncato nel suo saggio Danza Macabra. Ultima notazione, un plauso all'edizione in dvd della No Shame completamente rimasterizzata che rende davvero un gran servigio alla pellicola, restituita ai cinefili in modo encomiabile.