Cesare Ferrario dirige in tutto tre film in carriera e con questo La Bella Di Mosca mi appresto a concludere l'esplorazione del suo universo cinematografico su Cineraglio, ultimo in ordine di tempo ad essere girato da Ferrario (2001) ed ultimo anche ad essere trattato dal sottoscritto. Dopo aver masticato la sua cifra estetica e la sua ars narrativa devo dire che Ferrario non mi rimarrà impresso come un regista indimenticabile. E' stato un attore, uno sceneggiatore ed un direttore anche fuori dalla sala cinematografica, per il teatro, la lirica e la tv, anche se le sue tre cine-produzioni effettive non mi hanno granché entusiasmato. Il Mostro Di Firenze è quella che tutto sommato ho gradito di più, non un film epocale ma apprezzabile nella sua rusticità e nel suo cogliere il momento (un vero e proprio instant movie); La Bella Del Reame presentava diversi motivi di interesse per il sottoscritto, in quanto seguito di un film vanziniano, espressione della "Milano da bere" e di una delle sue protagoniste più glamour (Marina Ripa Di Meana), oltre ad avere in Carol Alt la protagonista, eppure si è trattato di una pellicola a mio parere scialba e assai al di sotto de I Miei Primi 40 Anni. La Bella Di Mosca risulta quasi esserne una trasposizione in chiave sovietica, sebbene i suoi natali letterari siano tutt'altri, ovvero l'omonimo romanzo di Viktor Erofeev, intellettuale dissidente russo assai caro a Gorbaciov. Il film di Ferrario (la cui sceneggiatura è scritta proprio assieme a Erofeev, i due sono stati amici) diventò la prima coproduzione tra Itala e Russia con l'avvento della Perestrojka. E però, al netto di tanta nobile discendenza, La Bella Di Mosca è un'opera tutto sommato alquanto modesta (mi riferisco al film naturalmente).
Ferrario si è recato più volte in Russia a partire dagli anni '90, collaborando artisticamente a livello teatrale e realizzando anche una trilogia televisiva per la Rai Svizzera dell'epoca ispirata ad alcuni racconti di Erofeev. La Bella Di Mosca è girato anche in Russia, eppure incredibilmente non si ha mai neppure per un istante la sensazione di trovarsi in quel Paese. Ho dovuto attendere i titoli di coda per verificarlo (con tanto di ringraziamento ai sindaci di Mosca e San Pietroburgo), per convincermi che Ferrario non avesse scovato qualche luogo in Brianza adattandolo a mo' di Unione Sovietica. Il film ha un sapore fortemente televisivo, patinato e curiosamente vanziniano (nonostante i 12 anni trascorsi da La Più Bella Del Reame). E' qualcosa a metà tra una fiction televisiva ed un prodotto industriale di stampo Vanzina, motivo per il quale l'impressione di trovarsi al cospetto di una Marina Ripa di Meana parte terza aleggia fortissimo. Ci mettono del proprio anche la vicenda e la protagonista. Ralitza Baleva ricorda la Alt, non tanto per una qualche somiglianza ma per quel physique du role, quell'allure, quel portamento un po' algido da modella prestata al cinema senza troppa convinzione. Bella, fisico imponente, sensuale, poco espressiva. La Baleva non riesce in alcun modo a reggere il ruolo. Ogni volta la sua comparsa in scena è fragorosa, grazie alla posa stentorea e/o allo sguardo di ghiaccio che battezza il momento, ma poi quando si sviluppa il dialogo, la situazione, il dolce rapidamente si sgonfia e la potenziale intensità va via via edulcorandosi in un'atmosfera ed in una recitazione da telenovela ad alto budget. La Bella di Mosca non ha consistenza, non ha spessore, il sapore in bocca è grossolano, raffazzonato, superficiale.
Irina, la protagonista, ci viene presentata come una ragazza piuttosto ribelle, impulsiva, provocatoria ed edonista, una che sa il fatto suo e sa quel che vuole; una tipa abbastanza disponibile al compromesso ed al fine come giustificazione dei mezzi (per dire, è l'amante a pagamento del direttore dell'agenzia statale di moda per la quale lavora). Un un'amica la definisce "irresistibile" per via del suo "sguardo da puttana inconsapevole", e qualcosa inizia subito a girare a vuoto. Irina in tutta onestà pare assai consapevole delle sue intenzioni e condizioni, quel dialogo è già un'avvisaglia di come la sceneggiatura tenda ad andare fuori binario. Dopo questa prima parte trasgressiva Irina si trasforma in Anna Karenina, impazzisce d'amore per un intellettuale scrittore, nonché membro dell'oligarchia comunista. Il loro rapporto parte - come al solito - sotto il segno dello scambio di interessi reciproci, sesso in cambio di lusso, agio, denaro e gioielli, ma poi si trasforma in un sentimento puro e ideale. Come accade? Perché? La spiegazione lo spettatore se la deve dare da sé. A parte le scene di grandi amorazzi erotici, non c'è molto altro che ci aiuti a capire perché una donna come Irina dovrebbe amare per davvero un bacucco come il suo Vladimir; viceversa è comprensibilissimo il perché lui, sposato con una moglie tutta compita e un po' in odore di Pina Fantozzi, perda la testa per una tigre della foresta del piacere. Fatto sta che il film dà per acquisita la love story, senza che si assista mai a cosa significhi pragmaticamente vivere accanto ad una delle migliori menti dell'ex URSS per una ragazza che viene dal paesello, che per campare fa la modella e bada allo zio arteriosclerotico. - SPOILER: Finirà male. Per la carriera politica di Vladimir Irina è una brutta tegola; viene costretto a ripudiarla, ma lei non si arrende e lui muore d'infarto (una delle scene più brutte di morte per infarto che si siano mai viste al cinema). Irina, appestata, minacciata, perseguitata, fugge in America dove la prima cosa che fa è lasciarsi fotografare nuda tra bandiere rosse, falci e martelli, irridendo i busti di Stalin e Lenin. Ma ancora non basta, il finale drammaticamente epico è dietro l'angolo. Mentre gira un film antisovietico Irina viene assassinata, o perlomeno così pare, visto che non è chiaro quanto la scena sia reale o faccia parte del film che sta girando, in un tripudio enfatico di allegorie libertarie e metafisiche.
Alcune scelte di Ferrario sono veramente incomprensibili, come quando la Baleva - immediatamente dopo la morte dell'amatissimo Vladimir, distrutta dal dolore e additata come meretrice da mezza Russia - si infila i suoi tacchi a spillo vertiginosi e va a chiedere protezione all'ambasciatore cubano (che tempo addietro si era ripassata). Anche nel peggior momento di sofferenza della sua vita, mentre piove a dirotto, il suo cuore è straziato e gli occhi gonfi di lacrime, il dettaglio glamour non deve mancare. La Baleva non molla mai per un attimo la sua attitudine sexy, anche quando è struccata o dimessa sembra sempre sul punto di inforcare un cappellino di Marina Ripa di Meana e partire per le Canarie. La Bella Di Mosca ha un corpo centrale un po' noioso e sul finale vira abbastanza sul grottesco involontario. D'accordo, le scollature della Balev sono un bel vedere, ed in qualche misura il film ha i suoi momenti, ma 105 minuti sono un'eternità da sopportare. Esiste una commedia musicale americana omonima del '57 con Fred Astaire e Cyd Charisse che per ovvi motivi non ha nulla a che vedere con il romanzo di Erofeev.