Qualcuno ha idea del perché un film con un titolo anglofono venga distribuito in Italia cambiandolo con un altro titolo anglofono, che per giunta fa riferimento all'auto del protagonista e non al protagonista stesso? Non si sa, misteri dell'intelligenza distributiva nostrana, però è così che nel gennaio del 1980, 10 mesi dopo la sua uscita in patria, Interceptor, ovvero Mad Max, è proiettato nei cinema italiani. Il resto, come si dice in questi casi, è storia. Milioni di incasso in tutto il mondo, budget di lavorazione più che decuplicato nei ricavi, l'avvio di una saga che, ad oggi, conta 2 seguiti ed un remake, e la creazione di un immaginario narrativo che si sedimenterà nel cinema (e oltre) lasciando tracce di sé in diversi titoli successivi (come 1997 Fuga Da New York, Terminator, The Hitcher, per citare alcuni esempi macroscopici, senza tener conto delle eco riverberatesi pure nel nostro cinema di genere spaghettaro). Mad Max diventa un culto un giorno dopo essere uscito al cinema, evidentemente sposando un bisogno del pubblico brillantemente intercettato dai suoi creatori, George Miller e Byron Kennedy, i quali per finanziarlo si sono letteralmente spaccati in quattro, non solo perorandone la causa a chiunque potesse contribuire economicamente (a conti fatti la pellicola venne finanziata interamente da privati) ma anche sobbarcandosi mesi e mesi di turni di lavoro massacranti pur di racimolare denaro. Miller era un medico del Pronto Soccorso e insieme all'amico Kennedy, regista esordiente, raccolse dati e aneddoti (compresi quelli testimoniate di persona) riguardo a incidenti stradali, ferite e morti violente, tutto materiale poi confluito in Interceptor. Anzi, dapprima usato per un corto metraggio sulla violenza cinematografica, poi riversato sulle strade di Melbourne (location principale del set) e diventato polpa per la sceneggiatura. I due erano abbastanza scioccati dal fatto che, nonostante l'altissimo numero di morti in incidenti stradali, la gente continuasse a rimanere più impressionata magari da un tizio caduto dalla finestra. Mad Max fu anche una sorta di terapia d'urto sull'argomento.
L'intenzione raggiunse l'obiettivo poiché Interceptor fu discretamente scioccante per l'epoca, tant'è che si guadagnò il divieto ai minori di 18 anni, qualche divieto integrale di proiezione (Nuova Zelanda e Svezia) e pesanti tagli censori (la versione italiana era inguardabile). In America venne interamente ridoppiato, snaturandolo pesantemente. Interceptor aveva dalla sua certamente la forza di immagini schiette e intense ma alla sensazione finale di turbamento contribuiva anche il montaggio, l'azione (incessante), il contesto, l'ambientazione e molti sottotesti più o meno subliminali. Se è vero che per l'epoca le scene degli incidenti, degli inseguimenti e dei conseguenti fracassamenti e sfasci erano tutto sommato una novità (perlomeno a quel livello di schiettezza e brutalità), non sono da sottovalutare gli scenari naturali dell'Australia dell'epoca, una sorta di America ancora più incontaminata e precolonizzata. Strade infinite, deserte, assolate, torre solo dal silenzio dei motori sfreccianti, con una densità di popolazione ridicola e la sensazione che potesse accadere qualsiasi cosa, anche il delitto più efferato, senza che nessuno per giorni e settimane se ne accorgesse nel raggio di km e km. Le orde di motociclisti (perlopiù formate da vere orde di motociclisti locali), dipinte per un verso con grande crudeltà, dall'altro con una stupidità ottusa che elevava la cattiveria all'ennesima potenza. I vigilantes stradali (perché più che di poliziotti si tratta di quelli) che non si differenziano in alcun modo dai teppisti su due ruote, sono solo casualmente schierati dalla parte opposta della barricata. Vestiti di pelle, come moderni James Dean e Marlon Brando, e con una traccia di omosessualità latente che di tanto intanto fa capolino in modo ambiguo e provocatorio. Miller proietta la vicenda in un futuro prossimo, la soluzione del post apocalittico che risolve tutto, un presente-futuro prossimo dove è possibile concedersi licenze poetiche (si fa per dire), rendere credibile un film a basso costo e allo stesso tempo solleticare la fantasia quel tanto che basta da farla galoppare senza particolari controindicazioni di verosimiglianza. In effetti il clima "distopico" è più esterno che interno alla sceneggiatura, è più indotto che ricavabile concretamente dai fotogrammi, ciò nonostante Interceptor è passato alla storia come uno dei titoli più importanti del genere.
Poi ci sono le auto, protagoniste tanto quanto gli attori in carne ed ossa. Online c'è un'ampia letteratura su marche e modelli usati nel film e divenuti poi leggendari proprio grazie a questa testimonianza. In Australia - dove il film è celebrato come un monumento nazionale, avendo sfondato tutti i record dell'epoca - esistono musei e ricorrenze annuali che ne perpetrano il mito. Per Mel Gibson fu il lancio della carriera, sparato nel cinema mondiale direttamente dalla scuola di recitazione di Giringiro Creek dove studiava fino al giorno prima. E pare per altro che arrivò al ruolo per puro caso, avendo accompagnato - come spesso accade - un amico al provino. L'amico, Steve Bisley, divenne Goose e Gibson fu Mad Max. Tra i tanti omaggi (davvero una miriade) viene facile pensare all'Anthony Edwards di Top Gun, il cui personaggio si chiama non a caso Goose. In entrambi i film la sua morte sarà un importante punto di svolta per le sorti del protagonista principale/amico di Goose.