Tobe Hooper era un docente di un college, nel 1974 assembla un cast amatoriale di colleghi e studenti della scuola e gira Non Aprite Quella Porta con appena $ 140.000. Ne incassa $ 30.859.000 ed in solo colpo cambia la storia del cinema horror, la storia del cinema indipendente e la storia della propria vita. Ovvio che un'esplosione così radicale segni tutta la sua carriera a seguire. Ciononostante Hooper colleziona altri titoli che rimarranno nel panorama del genere horror come Quel Motel Vicino Alla Palude, Poltergeist, Space Vampires. Notevole anche Invaders, sebbene viri più sulla fantascienza avventurosa, mentre il secondo capitolo del Texas Chainsaw Massacre verrà giudicato troppo ironico ed umoristico dai puristi.
Il Tunnel Dell'Orrore arriva a quattro anni da Non Aprite Quella Porta, dunque un Hooper già consapevole del proprio potenziale e dell'avidità hollywoodiana verso prodotti che vendano tanto e bene. All'indomani del successo riscosso tra i teenager dal primo capitolo di Venerdì 13, la Universal voleva un giocattolo del genere e commissionò al regista The Funhouse. A livello produttivo la pellicola fu piuttosto sostanziosa e si inserì nel filone degli slasher ambientati nell'America profonda e rurale, dove ignoranza e amoralità descrivono inquietantemente i personaggi coinvolti. Si potrebbe parlare di banalità del Male, evocando la disarmante semplicità e linearità con cui l'irrazionale irrompe nella quotidianità, tingendo ogni cosa di morte.
Elizabeth Berridge - sorta di Carrie Fisher meno fascinosa - è una casta e morigerata figlia di genitori puritani che una sera si fa portare dal ragazzo che la corteggia al Luna Park (avendo invece chiesto il permesso per il cinema). Solo il fratellino sa dove realmente Elizabeth sia diretta. Una volta là, assieme ad una coppia di amici, si fa convincere a nascondersi per tutta la notte tra le buie sale del tunnel dell'orrore. Ma, una volta dentro, assisterà a ciò che non avrebbe mai creduto potesse accadere.... - SPOILER: sarà dapprima testimone di un omicidio, quindi scoprirà che l'assassino è una demoniaca creatura deforme che ha già ucciso in passato per soddisfare le proprie voglie e che adesso, insieme al padre spietato, ha tutta l'intenzione di non lasciare testimoni in vita. Elizabeth si salverà ma a caro prezzo, sarà l'unica superstite della notte di sangue e violenza, e ne rimarrà sconvolta per sempre.
La firma di Hooper è molto riconoscibile, il contesto contadino, tra bigottimo cattolico e grezzura redneck, la deformità freak dell'assassino (e non solo dell'assassino), la persecuzione incessante, gli ambienti cheap, la sottile e silente crudeltà del fratellino Shawn Carson; atmosfere grottesche e suggestioni dissacranti rimandano esplicitamente alla filosofia cinematografica di Hooper (al quale neanche qui sfugge una certa vena divertente, si veda il personaggio dello sciatto mago Marko interpretato da William Finley). La pellicola è realizzata all'alba degli anni '80, quando la computer grafica ancora non era padrona di ogni progetto e l'artigianato materico era la vera cifra per leggere quanto talentuoso potesse essere un regista visionario ed il suo cast tecnico di effettisti e creativi. La cornice nella quale Hooper ambienta la storia è decisamente efficace e coinvolgente; uno scalcinato e sgangherato luna park di provincia, un fazzoletto di terra dove alla domenica cowboys ingrifati e finte madonnine di chiesa si recano per spegnere il cervello e dar libero istinto allo stato brado. La stessa Amy Harper della Barridge è un personaggio ambiguo, rigorosa ed irreprensibile sulle prime, in realtà capace di mentire e di aprire la camicetta alla prima occasione.
Tutto è all'insegna della (voluta e ricercata) sgradevolezza, dello squallore, della desolazione tanto simbolica quanto concreta. Poco credibile che all'interno dello sciancato tunnel le armi in mano ai pupazzi siano istematicamente vere e affilatissime; provate a visitare un "castello degli orrori" di un qualsiasi parco divertimenti (anche più glamour di quello del film) e scoprirete che la cartapesta regna sovrana. Né si può dire un gran bene del climax finale, piuttosto sempliciotto e privo di vera tensione. Il film venne accolto in modo meno entusiasta rispetto a Non Aprite Quella Porta; a ragion veduta fu etichettato come un prodotto più commerciale (al quarto minuto c'è già la prima tetta) e meno geniale, e venne accusato di andare alla facile ricerca di depravazione, sesso e violenza (tanto da rischiare di essere addirittura bannato in Gran Bretagna), sebbene paradossalmente Non Aprite Quella Porta avesse toccato livelli di sadismo ben maggiori. Gustosa la citazione iniziale di Psycho, nonché l'incipit "turbo" del film, secondo la filosofia cara anche a Dario Argento per cui per coinvolgere immediatamente lo spettatore è necessario scaraventarlo di prepotenza dentro al film mediante un attacco di una certa intensità. A proposito di Argento, il make-up di Phenomena vi ricorda per caso qualcosa?