Questa cosa dei remake ci sta sfuggendo di mano. Non solo sono quantitativamente numerosissimi ma la cosa peggiore è che qualitativamente non ci siamo. O meglio, i remake sono la spia di una pigrizia enorme poiché vengono realizzati oramai a strettissimo giro di posta dagli originali (in questo caso appena due anni, il tempo materiale di vedere il film e girare la copia) e con un discostamento dello zero virgola in percentuale rispetto alla sceneggiatura originale. L'idea è che se quello funzionava così perché mai complicarsi la vita cambiando qualcosa? Ecco che allora oltre a storie pedissequamente identiche (al massimo con l'aggiunta di qualche stereotipo italico qua e là per colorire i personaggi e far sentire il pubblico "a casa") si ricalcano fedelmente i dialoghi, linea per linea, addirittura battuta per battuta, le inquadrature sono le stesse e gli attori vengono scelti somiglianti o truccati e vestiti esattamente come gli originali. Una mimesi inquietante oltre che pavida. Mi è capitato guardando Il Testimone Invisibile, rifacimento dello spagnolo Contrattempo (Contratiempo, 2016) ma potrei tranquillamente riferirmi ad altri esempi, come Il Nome Del Figlio (Cena Tra Amici), Poveri Ma Ricchi (Les Tuche, 2011), Un Fidanzato Per Mia Moglie (Un Novio Para Mi Mujer, 2008) eccetera eccetera. Ci sono delle figure professionali pagate per andare al cinema, scovare pellicole di successo intorno a noi e riproporle pari pari al pubblico italiano, trattandolo come una specie di minorato mentale che può bersi contento qualsiasi copia/incolla gli venga propinato.
Il Testimone Invisibile ha diversi difetti che non ho idea se appartengano anche alla pellicola spagnola (immagino di si, visto l'inesistente tasso di rischio che il cinema italiano si prende abitualmente) ma che in ogni caso difetti rimangono, che siano nostrani o iberici. - SPOILER: uno su tutti, quello più marchiano è il finale, ovvero il ruolo riservato ai coniugi Garri (Fabrizio Bentivoglio e Maria Paiato), nel film i genitori del ragazzo ucciso da Riccardo Scamarcio e Miriam Leone. La Paiato è una ex insegnante di Lettere che poi si ricicla come dipendente di un albergo di montagna a causa di una malattia che la costringe a lasciare l'insegnamento e la città. Bentivoglio invece è un meccanico in pensione. Questo di partenza perché poi strada facendo si trasformano in due agenti segreti dell'MI6 con tanto di maschere alla Mission Impossibile e penne stilografiche che in realtà sono potentissimi registratori ambientali con lucine a led. Come possano avere simili competenze, lucidità, strategie relazionali ed investigative, congegni tecnologici e capacità organizzative per mettere in piedi la trappola che tendono a Scamarcio, Dio solo lo sa. Stefano Mordini non ce lo spiega minimamente, tutto preso dal continuo bombardarci con colpi di scena stratificati uno sull'altro tipo pila di pancakes a colazione. D'accordo, la tenzone a colpi di guerra psicologica tra Scamarcio e la Paiato ha un bel ritmo sostenuto ma il tutto poteva essere gestito in modo meno spettacolare e roboante e magari cercando un "centro di gravità" che rendesse il dipanarsi degli eventi (e dei caratteri dei personaggi) più solido e credibile, soprattutto verosimile. Invece il finale è un tripudio di pirotecnica ostentata che toglie anche quel minimo fascino che sin lì il film poteva aver avuto.
Discreta la prima parte, quella più squisitamente di costruzione (spesso - ahimé - è così), ma non appena Scamarcio e la Paiato ingranano la quinta non ce n'è più per nessuno, sono montagne russe thriller e chi più ne ha più né metta, ai limiti del grottesco. Se tale e quale è il film spagnolo, la sceneggiatura italiana poteva perlomeno lavorare per sottrazione, mettendo maggiormente a fuoco gli aspetti critici del plot e andando in cerca di nuove e migliori sfumature. Ma in fondo proprio grazie ad un'architettura così fragorosa e incredibile sono arrivate le immancabili candidature ai David di Donatello e ai Nastri D'Argento dunque, a quanto pare, ha avuto ragione Mordini. La Leone ha la stessa pettinatura del suo alter ego spagnolo, la Paiato pure, manco la fatica di "creare" qualcosa che potesse dare al film una sua identità pur trattandosi di un remake, la vertigine di un'acconciatura diversa. Questo è un distendersi a tappeto sulla pellicola di derivazione; bello o brutto, francamente non si capisce perché si dovrebbe guardare la copia e non l'originale che perlomeno ha la paternità del concepimento.