La genesi del film raccontata da Barilli vede una sceneggiatura scritta dal regista e letta da Giovanni Bertolucci, il quale rimane piuttosto sconcertato del finale, che imprime una svolta inaspettata e molto violenta alla storia narrata sin lì. Bertolucci trova stridente quel finale con l'impostazione della sceneggiatura, piuttosto "carina". Barilli dice che l'asino casca proprio lì, su quel "carina"; per scombinare lo spettatore deve arrivare un bel cazzotto nello stomaco e così facendo, tutto il film - ripercorso a ritroso - assumerà una luce completamente diversa, inquietante e sinistra. Per inciso, di "carino" ne Il Profumo Della Signora In Nero non c'è nulla, ma Bertolucci intendeva che metodo e approccio di Barilli erano stati fin lì molto composti e rigorosi, mentre il finale è un razzo sparato su Marte. Come protagonista viene scelta Mimsy Farmer, che nel '71 aveva girato le mosche di velluto grigio di Argento, era la compagna di Cerami, era in Italia, disponibile e col physique du role per il ruolo. Molto Mia Farrow, si sposava perfettamente con le atmosfere polanskiane e di completa allucinazione che il film richiedeva. Detto questo, ovvero brava attrice e faccia giusta per il ruolo, a me la Farmer in tutta la sua efebica algidità non riesce a catturarmi, mi respinge, non stabilisce quel ponte di empatia con lo spettatore necessario a calarsi completamente dentro la storia. Limite mio, ripeto. Qualcosa che va oltre il fotogramma però c'è se Barilli ebbe a dichiarare che l'attrice girò il film col freno a mano tirato, sempre molto critica su alcune scelte di regia e sull'intensità impressa da Barilli alla pellicola. La prima a non essere coinvolta forse fu proprio lei.
Al di là della Farmer, il legame più forte che lega Barilli ad Argento è la predilezione per le atmosfere a scapito della logica e della coerenza narrativa. Intendiamoci, non che Il Profumo Della Signora In Nero sia sconclusionato o illogico, è che Barilli non è troppo interessato a spiegazioni didascaliche,nette e cristalline; certe cose accadono e vanno afferrate così come sono, senza troppi perché, senza scendere in dettagli.
- SPOILER: come ad esempio la protagonista scenda progressivamente in quella spirale di disagio psicologico, visioni e turbe mentali è un mistero. E' tutta suggestione? Complimenti, perché per "entrare nel cervello" di una persona - come viene letteralmente detto nel film - e portarla alla pazzia ci vuole una grande arte; oppure Silvia Hacherman viene drogata (come quando si taglia con l'aculeo sulla racchetta da tennis)? Ma se così fosse non lo vediamo succedere praticamente mai nel film, quindi Barilli semplicemente lo dà per scontato? E visto che siamo in fascia spoiler spendo qui due parole sul finale: brutalissimo, nonché anticipatore dei cannibal movies che arriveranno qualche anno dopo, nella seconda metà dei '70. Barilli aveva girato scene anche peggiori (tutte con interiora di bue), ma non finirono nel film, in parte perché espunte dalla censura, in parte perché omesse dal regista stesso. E' un finale davvero inaspettato, o meglio, lo si annusa per tutto il film ma certo poi non ci aspetta una tale evidenza visiva, senza filtri, in qualche modo catartica e liberatoria di quel senso di oppressione che aveva aleggiato per 100 e passa minuti.
La costruzione progressiva dell'angoscia c'è e si sente forte e chiara, Barilli è un maestro in tal senso. Per far ciò occorre una notevole lentezza, che a volte un po' sfibra, ma se si accetta di vivere un'esperienza sensoriale oltre che guardare meramente un film con una trama gialla e nera, si riesce agilmente a digerire il tutto. Polanski e Hitchcock aleggiano senza farsi troppo invadenti, i cromatismi, la fotografia di Marco Masini e Barilli sono meravigliosi, un film nel film, anche in questo caso "anticipatori", poiché nel '77 vedremo qualcosa di abbastanza prossimo in Suspiria. E di nuovo Dario Argento ritorna nella scelta del quartiere torinese Coppedé per le architetture e le cornici di questa storia macabra e malsana. Barilli lamentò l'intrusione della Produzione nel film per quanto riguarda il personaggio del fidanzato (che lui non voleva e non amava) e per la scena di sesso tra questi e la Farmer (inutile per Barilli). Tant'è che la gira svogliatamente e dandole un tocco sinistro, con la Farmer che sembra un po' gradire un po' no. I dettagli sono fondamentali in questo film, certi dialoghi, il bambolotto che la Farmer porta in borsa, le rose gialle, il lenzuolo del suo letto, anch'esso giallo (simbolo del suicidio), una macchia di sangue su di una scarpa bianca, suppellettili, gli occhi della sensitiva Orchidea (Nike Arrighi). Piccoli elementi che generano brividi immensi. Brividi ai quali contribuisce Nicola Piovani, qui quasi ai suoi esordi, con musiche davvero calzanti ed appropriate che fanno da cassa di risonanza della paura e dell'ansia. Ad arricchire il cast, oltre al'esperienza ed al mestiere di Mario Scaccia, anche Donna Jordan, che Marco Giusti rivela essere il corpo al quale apparteneva il sedere della pubblicità dei jeans Jesus ("chi mi ama mi segua") Il Profumo Della Signora In Nero è un film molto elegante e raffinato e tale eleganza risiede tanto nella messa in scena quanto nella sua disperata e impietosa crudeltà.