Il Fauno Di Marmo

Il Fauno Di Marmo
Il Fauno Di Marmo

Tratto dall'omonimo romanzo di Nathaniel Hawthorne (liberamente tratto) e ampiamente ispirato da Il Segno Del Comando (e da L'Amaro Caso Della Baronesa Carini), la Rai nell'autunno del '77 porta sullo schermo la storia in tre puntate sceneggiata da Massimo Franciosa e Luisa Montagnana, e diretta da Silverio Blasi, anche attore ma soprattutto regista e sceneggiatore teatrale, televisivo e radiofonico (sua la firma dietro Piccolo Mondo Antico o le vite di Michelangelo e Caravaggio). Complessivamente tre ore nelle quali assistiamo a vicende la cui atmosfera richiama abbastanza esplicitamente quella de Il Segno Del Comando. Vi sono agganci anche abbastanza espliciti, in entrambi gli sceneggiati tutto ha inizio dalla lettura di un antico diario, di Lord Byron nel Comando, di un anonimo settecentesco nel Fauno. Vi sono oggetti di scena che sono chiavi risolutrici, il ciondolo alchemico nel primo caso, una piccola rivoltella nel secondo. In entrambi i casi la storia ha luogo ha (perlomeno prevalentemente) a Roma, una Roma a colori, e c'è un gioco di rimandi tra passato e presente.

Abbiamo 4 amici, due coppie che sembrano iniziare un po' svogliatamente degli affari sentimentali, coinvolti in un enigmatico rimando di specchi tra realtà e finzione. A seguito di un sogno ricorrente di Hylda (Consuelo Ferrara), Kenyon (Orso Maria Guerrini) ravvisa delle similitudini con un manoscritto settecentesco del quale sta cercando faticosamente di ricostruire l'integrità. Pagine su pagine disseminate per le biblioteche della città, contenenti fatti e narrazioni che di colpo riproducono esattamente quanto sta accadendo ai quattro amici nella Roma degli anni '70. Ci sono continue sovrapposizioni tra secoli, dal XVIII° alla contemporaneità, con la costante di una figura minacciosa, una sorta di incappucciato zoppo chiamato il Persecutore (Giorgio Bonora), che insegue Miriam (Marina Malfatti) e ne reclama la proprietà. I protagonisti vivono costantemente sul filo dell'incredulità, sospesi tra il soprannaturale e la razionalità, temono di essere vittime di allucinazioni collettive e tentano di spiegare l'accaduto da un punto di vista solido, concreto e psicanalitico, pur dovendo fronteggiare sempre nuove manifestazioni. Il diario è il filo conduttore degli eventi e condurrà anche alla risoluzione del mistero.

Credo già all'epoca, ma soprattutto rivisto ad oltre 40 anni di distanza, Il Fauno Di Marmo ha dei momenti di ridicolo involontario, da attribuire in larga parte alla pomposità e all'enfasi dei dialoghi. Lo scorrere del tempo ha appesantito notevolmente uno sceneggiato che anche nel 1977 non era in grado di toccare le vette sublimi raggiunte dal suo diretto ispiratore, Il Segno Del Comando. La recitazione è molto ampollosa, carica (soprattutto nella Malfatti e in Donato Placido, fratello di Michele, qui al suo esordio); non che nel Comando non si respirasse comunque il palco "teatrale", ma qui manca del tutto quel senso di fiabesco, di meraviglia, che quasi astraevano dal tempo e dalla realtà i fatti e i personaggi dello sceneggiato di D'Anza. Talvolta la sequenza di alcuni accadimenti è un po' appiccicata col nastro adesivo, come se fosse (appunto) previsto dalla sceneggiatura anziché da un naturale fluire della realtà (della quale ad imitazione la storia dovrebbe andare).

Ci sono pure alcuni incongruenze vere e proprie, come la piccola rivoltella del '700 che nel '700 non sarebbe mai potuta esistere poiché fino al secolo successivo (e soprattutto in dimensioni così contenute) non ne avremmo avuto notizia; o il finale nel quale uno dei protagonisti si trova a fronteggiare il Persecutore. Seconda una regola che si ricava durante il dipanarsi degli eventi, ciascuno dei 4, a turno, fronteggia quella ombra, di secolo in secolo. Dopo '700, '800 e '900 (ovvero l'oggi.... di allora), al quarto sarebbe dovuto toccare un secolo dopo e invece, per esigenze di spettacolarizzazione, diventa l'epilogo della storia, alimentando però una situazione da corto circuito poco comprensibile e forzata. La recitazione della Malfatti mi è risultata davvero indigesta (come il suo taglio di capelli ultra femminista). Non va meglio con Bonora, il Persecutore che trotterella goffamente per campi all'inseguimento di una bambina o si presenta di giorno come di notte impiastricciato in volto con un trucco molto rozzo. Per essere la figura che ingenera paura e angoscia tanto nei personaggi quanto negli spettatori, capita che ottenga financo l'effetto opposto.

Rimangono agli atti anche aspetti positivi. E' indubbio che in quanto sceneggiato RAI ("del giallo e del mistero") Il Fauno Di Marmo emani comunque una allure, una suggestione tutta legata al passato al quale appartiene, un'altra epoca televisivamente (e culturalmente) parlando. La contrapposizione tra passato ed il presente della Roma anni '70 ha un suo fascino fisiologico, e le continue analisi filosofiche degli attori (ancorché un po' ai limiti del naive o, di contro, della supercazzola) se non altro stimolano qualche riflessione. Apprezzabilissimo il sempre magnetico Orso Maria Guerrini, mentre le musiche, pur appannaggio di Stelvio Cipriani, hanno una cifra alquanto pesante. Sigla di chiusura di Lando Fiorni (aridanghete con le eco de Il Segno Del Comando). Da segnalare uno dei primissimi nudi televisivi, quello di Consuelo Ferrara, in doccia.

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