Quando i protagonisti del tuo film sono Luc Merenda e un pugile campione del mondo dei pesi medi, non stai girando Scusa Ma Ti Chiamo Amore. Stelvio Massi aveva nel carniere già diversi bei poliziotteschi (tra i quali la serie di Mark Il Poliziotto e La Legge Violenta Della Squadra Anticrimine) quando nel '76 sfuma dal poliziesco al gangster movie con tinte noir con Il Conto E' Chiuso, pellicola che mantiene i modi di fare del poliziottesco ma che non ha una divisa per tutti i suoi 91 minuti di durata. La storia infatti è quella di una vendetta che viene da lontano (di quelle che piacciono tanto a Tarantino). Come già altri hanno evidenziato prima del sottoscritto, il contesto fondamentalmente è quello di un western trapiantato in un contesto urbano, con l'eroe - apparentemente senza passato e senza identità - che sbuca dal nulla, in una città dominata dai cattivi. Grazie alle dritte di un amico saggio e alla sua determinazione, porterà a termine la sua vendetta.
Carlos Monzon è quell'uomo, cammina sull'autostrada, sacco in spalla, come un Bruce Banner o un John Rambo all'italiana (e con Rambo condivide un passato di guerra), o come un novello Django....ma di questo parleremo dopo. Solitario e silenzioso, ha una meta precisa da raggiungere. Siamo al nord, in una città senza nome, una qualsiasi, fatta di industrie e degrado (tecnicamente siamo a Roma, il film è girato lì, anche se la moneta corrente è il dollaro). Entra a far parte di una delle due organizzazioni criminali che si spartiscono il territorio, quella dei Manzetti. Il loro avversario è Bobo Belmondo, ed è a lui che si rivolge Marco Russo/Monzon tessendo una trama di doppio gioco e trappole. Tra le due bande vige già una guerra fredda, ma sarà Monzon a farla scoppiare definitivamente, approfittando del caos per vendicare finalmente la morte e le sevizie subite dalla madre e dalla sorella - SPOILER: sevizie commesse dal sadico Rico Manzetti/Luc Merenda.
Il film assomma parecchi nomi importanti, in primis Massi, gran cerimoniere della macchina da presa, poi Delli Colli alla fotografia ed infine Bacalov alle musiche (molto intriganti e coinvolgenti). Il cast artistico è assemblato in modo bizzarro, se da una parte Luc Merenda garantisce coerenza con il proprio ruolo, dall'altra abbiamo Mario Brega come super criminale cafone, a tratti troppo bonaccione ed impacciato per tener testa a un Merenda caratterizzato invece in modo molto marcato e attento (abbigliamento elegantissimo, amore morboso per le armi da fuoco e per le coppie madre/figlia, battuta sempre pronta, sguardo di ghiaccio e un ciuffone biondo very fashion). A tratti si percepiscono atmosfere un po' sudamericane, forse per omaggiare Monzon; che un gangster settentrionale si chiami "Rico" in effetti suona un po' così, e le musiche di Bacalov arrivano sovente in soccorso di questo immaginario latino, soprattutto a commento delle azioni di Monzon. Dal canto suo il pugile argentino viene descritto come un uomo del sud (implicando nella sua rivalità con le gang del nord anche una sottotraccia più sociologica che descrive l'Italia dell'epoca), e il buon Ferruccio Amendola che lo doppia si sforza pure di dare un inflessione meridionale alle sue battute, ma la faccia da indio di Monzon tradisce ogni velleità. Massi sembra giocare di ambiguità criptando i luoghi, poiché non cita nessun nome, come detto "latinizza" un po' le atmosfere mediante la musica, il gangster Rico e il faccione di Monzon, fa scorrere dollari e forse mira addirittura a farci credere che siamo da qualche parte in Colombia o in Venezuela, chissà (anche se lo scenario urbano è troppo italiano).
C'è pure qualche leggerezza a livello di sceneggiatura, infatti ad esempio non si comprende la logica del passaggio nel quale, dapprima Monzon viene steso davanti alla fabbrica dagli sgherri di uno dei fratelli Manzetti e buttato in una discarica, per poi essere improvvisamente temuto dai gangster e praticamente "riesumato" come pericolosa minaccia. Tuttavia, nonostante delle imperfezioni, Massi gira una storia solida, tesa e appassionante che fa della impassibilità del volto di Monzon un suo punto di forza. Il comparto femminile vive di tre attrici, bella Mariangela Giordano, amante coatta di Merenda, Susanna Gimenez, amante di Belmondo e spogliarellista nel suo locale, Leonora Fani, protetta di Giampiero Albertini, detto Sapienza, l'amico fraterno di Monzon nel film che lo aiuta e lo ospita durante le sue scorribande contro i gangster. Il ruolo della Fani è particolarmente impegnativo anche se contenuto in poche scene, poiché oltre a dover interpretare credibilmente una cieca, subisce anche uno stupro dagli uomini di Merenda. Curioso il fatto che le donne dei gangster ne rispecchino i caratteri, visto che la Giordano è aggraziata ed elegante, mentre la Gimenez è ruspante e volgarotta ("la Brigitte Bardot del sud America", all'epoca compagna di Monzon).
Il film non ebbe un grande successo, Massi riprese a fare polizziotteschi tuout court, e pure a Monzon non andò meglio, nel '77 lasciò il ring, girò film sbagliati che gli lasciarono come eredità unicamente il nomignolo di "el Macho", nell'88 venne condannato al carcere per l'omicidio, mediante strangolamento, della modella uruguaiana Alicia Muñiz (romanticamente avvenuto nella notte di San Valentino) ed infine morì a 52 anni sfracellandosi con l'auto a 140 kn/h. ...E Django allora? Perché ne dobbiamo parlare? Perché anche Monzon subisce la stessa sorte di Franco Nero, picchiato a sangue e massacrato con dei gran pestoni sulle mani, tanto da renderle inutilizzabili. Monzon però non si perderà d'animo e, con poche mosse ben pianificate, riuscirà ad aver ragione una volta per tutte del maledetto Rico.