El Mariachi

El Mariachi
El Mariachi

Il mito (un po' sopravvalutato, a mio modesto parere) di Robert Rodriguez nasce qui, ad Acuña, Messico, dove prende avvio la storia del mariachi Carlos Gallardo. Terzo di dieci figli, di famiglia modesta, Rodriguez finanzia il suo primo film con i proventi derivanti dal suo lavoro di cavia umana per esperimenti. 7000 dollari, con così poco Rodriguez si proietta nella leggenda e dà avvio ad una carriera sfolgorante (aiutata molto anche dall'essere entrato nelle grazie di Quentin Tarantino), mettendo in luce talenti come sceneggiatore, regista, produttore, montatore ed autore in genere (anche se io parlerei più che altro di business man). In El Mariachi, Rodriguez si occupa di ogni casella tecnica riguardante il film, ottimizzando i costi. Come attori sceglie dei non professionisti e lima su ogni voce di spesa, tant'è che esiste un documentario legato al film che spiega come realizzare cinema indipendente e a basso budget, praticamente la scuola Rodriguez. Il film viene girato per il mercato esclusivamente spagnolo ma poi, solleticato l'interesse della Columbia Pictures, viene proposto anche per il mercato internazionale, con relativi doppiaggi. Contestualmente all'acquisto della pellicola, Columbia si offre di finanziare anche i due successivi film di Rodriguez, sequel della trilogia del mariachi (anche se Desperado si configura più come un remake di buon budget). I ciak sono tutti "buona la prima", errori compresi. Nel bluray del cofanetto Sony in mio possesso l'immagine del film è molto sgranata e puntinata, segno evidente che la qualità realizzativa non era nemmeno lontanamente pensata per un supporto così hi-tech (che infatti arriverà un decennio più tardi).

El Mariachi è il classico esordio genialoide, un po' approssimativo nella realizzazione, magari acerbo, magari ingenuo, ma con idee, gran cuore e voglia di fare cinema. E' pieno di grandangoli e riprese "estreme", con corollario di effetti parossistici e grotteschi da cartone animato che sottolineano plasticamente certi momenti narrativi, solitamente parentesi comiche, come ad esempio il mariachi che nel primo bar dove si ferma a cercar lavoro Gallardo, anziché suonare una chitarra classica alla "vecchia maniera", si è tecnologizzato usando una tastiera con strumenti e suoni interamente campionati. Rodriguez velocizza i movimenti, fa scrocchiare le dita al mariachi e correda la scenetta di stratagemmi vari per renderla sostanzialmente buffa. Anche se più in là non mancano passaggi apertamente drammatici (vedi in particolar modo l'epilogo alla villa del "Moco"/Peter Marquardt). Devo dire che, rivisto più volte e a distanza di tempo, l'iniziale entusiasmo un po' scema, l'adrenalina della prima botta va edulcorandosi, ma bisogna anche render merito a Rodriguez di aver creato questa preziosa operina oramai quasi 30 anni fa, nello stesso anno d'esordio di Tarantino con Le Iene, dunque quando pulp e violenza (dai tratti latino-western) non erano affatto all'ordine del giorno, e tutto sommato suonavano come un azzardo nuovo e coraggioso (anche tenendo conto della bassissima capacità di budget).

Molto intensa la recitazione del protagonista (anche co-produttore), credibile il finto marciachi ex galeotto Reinol Martinez (anche se con un fisico da buon bevitore di birra). Un po' sopra - o sotto - le righe tutti gli altri, con un cattivo molto ridondante (Marquardt), una virago (Consuelo Gòmez) non proprio irresistibile (Salma Hayek ne prenderà il posto con ben altro esito e carisma), ed una serie di figuranti 100% messicani che certo non rimarranno nella storia del cinema. Notevole il senso del ritmo, che esalta ancora di più la maestria dell'esordiente Rodriguez, il quale con quasi nulla in mano (anche a livello di sceneggiatura) tiene la tensione alta e costante per 81 minuti, abbeverandosi sapientemente di tutti i cliché e le atmosfere della sua terra natìa. L'incasso worldwide fu di 1 milione di dollari (non male considerando la cifra di partenza), la pellicola è stata inserita nella Biblioteca del Congresso americano per essere conservata nel National Film Registry per la sua rilevanza culturale, storica ed estetica. I premi nei festival internazionali fioccarono generosi ed abbondanti (tra questi anche il Sundance). Ma soprattutto l'exploit di Rodriguez si tramutò in un'ondata di cineasti e produttori rampanti, indipendenti e battaglieri che rivitalizzarono un nuovo cinema "giovane" ed inventivo (vedi Clerks o Blair Witch Project). La spinta di Rodriguez si è poi affievolita col passare del tempo, basti pensare a ben quattro capitoli della saga di Spy Kids o ai due di Machete (con perenne attesa per un terzo che spero non arrivi mai), produzioni francamente sterili, vuote ed autoreferenziali, dal citazionismo ammiccante, esasperato e fine a se stesso. Semmai ricordo volentieri Sin City e Dal Tramonto All'Alba (che tutto sommato è più che altro un divertissement realizzato con l'amico Tarantino), comunque due film manieristici fino all'ossessione, ma perlomeno divertenti e interessanti. Sostanzialmente direi che, per quanto mi riguarda, la parte di carriera più accattivante di Rodriguez si ferma proprio a C'era Una Volta In Messico (2003), terzo capitolo conclusivo della saga del mariachi. Rodriguez si è oramai inserito mani e piedi nei gangli produttivi hollywoodiani, prendendone i peggiori vizi e la peggior pigrizia creativa, una vera beffa per quel giovane cineasta dietro la macchina da presa di El Mariachi.

Trailer ufficiale

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