C'è tutta la polemica dei fanz del fumetto, che odiano il film di Munroe (2010) perché non è rispettoso del diametro del secondo neo sotto la scapola sinistra partendo dall'alto del cugino del fratello del nonno del salumiere di Dylan Dog, e ok, è una polemica legittima, da filologi, ma non è quello di cui voglio parlare, non sono un lettore del fumetto; ne comprai un po' di numeri ai tempi in cui iniziò la serie ma lo abbandonai velocemente. Quindi, d'accordo, Londra era la patria eletta per il film, però New Orleans non è Catanzaro (anche se, per quanto viene mostrata nel film, potrebbe esserelo); ok, l'esilarante Groucho - l'aiutante di Dylan - non c'è, però il nuovo aiutante è forse l'elemento più divertente del film, soprattutto quando va alle riunioni del gruppo di sostegno per zombie depressi; Dylan dice una volta sola "Giuda ballerino!" in tutto il film, e una sola volta maneggia (goffamente) il clarinetto, e via e via, cresce il disappunto degli intenditori.
Il problema di Dylan Dog però è che è modesto di suo, senza paragonarlo necessariamente al fumetto. E' scandalosamente un patchwork dei film "cool" che vanno tra i 12enni; ogni quarto d'ora si palesa il nuovo punto di riferimento (leggi: lo scopiazzamento). Praticamente prima pare Twilight, poi pare Underworld, poi c'è il siparietto Codice Da Vinci, poi c'è il momento Robert Rodriguez, poi pare Buffy l'Ammazza Vampiri, il tutto sempre con un taglio da telefilm per teenager di Italia 1. E' banalissimamente giovanilistico, tendente all'emominchia, scontato nei dialoghi, nelle situazioni, orrendo nella recitazione, con il capo dei licantropi che pare Don Vito Corleone, la figa che fa la figa, eccetera eccetera. Imbarazzante Brandon Routh (Dylan), quello di Superman Returns, che ogni 3x2 esibisce il fisico di John Cena, assai poco Dylan Dog. Hai voglia a mettergli la giacchettina nera con sotto la camicina rossa, pare John Cena con la giacchettina nera e la camicina rossa sotto, semplice. In dei momenti vira sul modello Tom Cruise, occhiali da sole, faccia strafottente, battutina pronta, estratto di essenza di "me le trombo tutte io". Il budget dell'operazione è chiaramente da americani, quindi di livello blockbuster, peccato che anche atmosfere, vicende e personaggi rispecchino come un americano medio vede l'Europa, con tutti i cliché e gli stereotipi del Vecchio Mondo rispetto agli States. Con la tipica soggezione da storia e cultura millenaria (e allora ecco New Orleans e tutta la menata alla Dan Brown sul manufatto di Belial e sui tomi antichi in latino de' noantri). Recuperatevi Dellamorte Dellamore di Soavi (1994), tratto dall'omonimo romanzo di Tiziano Sclavi, con il vero Dylan Dog, Rupert Everett, e pure con una discretissima Anna Falchi. Non basta mettere nel film un vampiro di nome Sclavi per fare i simpa, dovrebbe funzionare pure tutto il resto, e in Dellamorte Dellamore, che di licenze poetiche se ne prendeva parecchie (causa mancanza dei diritti), si respirava uno spirito ben più fedele alle ambientazioni e alle atmosfere del fumetto, anche senza averlo letto. Ovviamente, vista l'alta qualità di questo Dylan Dog, si è subito parlato di sequel.