Crypto

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L'idea di un thriller finanziario, associata alla opportunità di rivedere all'opera Kurt Russell, è quanto mi ha spinto a visionare questo thriller del 2019 cripticamente chiamato Crypto. Margin Call (J.C. Chandor, 2011), sull'argomento si era rivelato un portento; Blackhat (M. Mann, 2015) un film ricco ed esteticamente degno di Michael Mann, forse sin troppo complesso e con qualche elemento di perplessità, ma va detto che la finanza, quando non è trattata al livello del mercato ortofrutticolo, è materia arcigna e assai ostica per lo spettatore medio, né Mann è uno che aiuta troppo il suo pubblico. Crypto parrebbe muoversi sulla falsariga di queste pellicole, lasciando intendere che il mondo delle criptovalute e dell'economia sommersa e borderline con la legalità sia il suo core business. E' vero, ma anche no. Il linguaggio di Crypto è scopertamente fumoso, un po' come quando si parla complicato per non farsi capire, senza necessariamente dire cose di senso compiuto o di gran valore. Crypto mette in fila un po' di "antani" per far vedere che l'argomento lo mastica e che semmai è lo spettatore che ne è a digiuno; detto ciò, il film poi se ne va da tutt'altra parte, costruendo un thriller molto basico, concreto e prosaico che sostanzialmente prescinde dal metamondo dell'economia oscura e sotterranea. Ci sono molte semplificazioni, qualche elemento decisamente poco credibile ed una sceneggiatura piuttosto sbrigativa. Non è così difficile muovere critiche a Crypto, volendo; il film presta il fianco. Tuttavia si tratta di 105 minuti che volano via in modo molto liscio e gradevole, pur nella consapevolezza di non aver frequentato un corso universitario sul Capitale di Marx.

Le atmosfere sono accattivanti, opprimenti e malmostose, Stalberg Jr. dosa bene gli ingredienti, non eccede in violenza né in azione, perché il film ne ha relativamente bisogno. Siamo più sui toni del dramma che del thriller adrenalinico e questo l'ho apprezzato perché così facendo il regista ha dimostrato di capire cosa stava girando e di cosa aveva bisogno quel plot. La tentazione di buttarla su elementi più "incasso-friendly" sarebbe stata comprensibile, invece Crypto si mantiene algido e cupo, ben parametrato, né troppo, né troppo poco, e non sbraca praticamente mai. L'uso della musica (tendenzialmente elettronica) è brillante e contribuisce al clima generale. Il cast va ad alti e bassi. Mi è piaciuto molto il protagonista Beau Knapp, la sua fissità mette insieme un'apparente ottusità (soffre di autismo) con un turbamento interiore che lo accompagna costantemente. Il tema dell'autismo è appena accennato e va tutto desunto dal comportamento  del personaggio, scostante e poco incline alla fiducia verso terzi; troppo poco, andava reso più corposamente in sceneggiatura, anche perché avrebbe fornito ulteriori spunti. In ogni caso Knapp è solido e convincente. Mediamente meno interessante il cast che gli gira intorno, fatto di ruoli tagliati con l'accetta, al primo dialogo gli viene messa l'etichetta in fronte e quella rimarrà per tutto il resto della storia. Russell non fa eccezione, anche se il suo gran mestiere lo tira fuori dalla linea piatta e gli consente di regalare un po' di sfumature alle righe scritte in sceneggiatura. Jena Plissken è decisamente invecchiato. Nulla di strabiliante anche per quanto riguarda i personaggi femminili, più vicini alla bidimensionalità che alle tre dimensioni, ed in qualche caso siamo alla caricatura (Malaya Rivera Drew, la perversa gallerista tossicomane). Forse il punto più basso è quello dell'amico nero di Knapp (Jeremie Harris), che nel retrobottega di uno spaccio di liquori ha un fortino informatico degno di Assange, effettivamente lì la sospensione di incredulità h vacillato. Un personaggio che sarebbe stato meglio nei Goonies che in un thriller finanziario "adulto".

Come detto tuttavia, ho enormemente apprezzato che Crypto abbia evitato il peggio, gettandosi mani e piedi in sparatorie, inseguimenti e "americanate" troppo muscolari. La sparatoria c'è, l'FBI pure, ma è tutto misurato e soprattutto commisurato alle necessità narrative, nessuna volgare esibizione di testosterone perchessì, il regista non cede alla tentazione di abbandonarsi ad un Fast And Furious finanziario. Il clima vince, inquietante e minaccioso, anche quando la macchina da presa si sposta dalla tecnologia ai campi della fattoria di papà Russell, prendendo una piega un po' vecchia America. Crypto non fa gridare al miracolo, non spicca il volo verso altezze vertiginose, ne ho letto molto male praticamente ovunque; ora, io non dico che sia imperdibile (e ad esempio Margin Calls citato in apertura è tutto un altro pianeta), ma francamente l'intrattenimento c'è, qualche buon momento pure, in giro si vede molto ma molto di peggio. I dialoghi non sono neppure malaccio, di questi tempi a me pare già tanto.

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