Cogan mica l'ho capito tanto; allora, sicuramente è un'opera post tarantiniana, e si vede, c'è la violenza (pulp), c'è l'ironia, c'è il citazionismo (le canzoni retrò che fanno a cazzotti con la contemporaneità e soprattutto con l'ambiente dimesso e squallido). Per sommi capi il regista Andrew Dominik ci racconta di un bel contesto malfamato e uber accattone, in cui una criminalità di piccolo cabotaggio si mette in testa di fare il colpo ai danni della mafia seria. Lo fa più per necessità alimentare che per ambizione, ma si sopravvaluta. Fatta una rapina in una bisca clandestina, mandante ed esecutori pensano di farla franca facendo addossare la colpa ad un tizio con qualche scheletro nell'armadio (Ray Liotta), ma il killer della mafia mangia la foglia e secca indistintamente tutti, tranne uno che però finisce in galera per droga. Stop, fondamentalmente il film è tutto qui. Cosa lo rende interessante, o almeno dovrebbe, è la caratterizzazione dei personaggi, i dialoghi, un modo un po' fighetto di concepire le scene (si pensi allo sballo da eroina del tossico o all'omicidio in auto di Ray Liotta), ed un'atmosfera da diseredati in perenne debito col mondo.
Siamo nei bassifondi, merda di cane, strade umide, vestiti lezzi e menefreghismo generale. Radio e tv mandano di continuo telegiornali in cui Obama dice che ci sarà da tirare la cinghia, che l'economia va da schifo, che saranno lacrime e sangue; è chiaro che Dominik vuole creare questo parallelismo tra piani alti e ghetto proletario. Va tutto a ramengos, ovunque, è un domino che inizia da una parte ed inevitabilmente si ripercuote dall'altra. La criminalità però ha il suo microcosmo, il suo mondo, le sue regole, i suoi affari. Date queste premesse, i personaggi fanno il resto; quasi tutti stralunati, sballati, svalvolati, ai margini della società. James Gandolfini fa uno fulminato forte, e da parte sua pure il determinato e razionalissimo Jackie Cogan di Brad Pitt mette i bridivi. Uno incapace di provare la minima emozione, anzi, schifato dall'emotività, che secca le sue vittime come polli allo spiedo. E alla fine, esige i suoi soldi, poiché l'America - sono parole sue - si regge sugli affari. Il dialogo finale del film è il climax, un pistolotto di Brad Pitt (filo-Democratico nella vita reale) che percula le parole di Obama; altro che solidarietà e popolo affratellato, ognuno si fa i cazzi suoi e tutto ciò che conta sono solo i soldi (ed il potere). Titoli di coda. Sorprende un po' la chiusa di Dominik, lì per lì ti lascia monco, ma non è detto sia un male, è abbastanza forte. Quello che invece non mi convince è il film nella sua interezza; pare debba portarti chissà dove, ma in fondo non c'è un vero leit motiv forte, è solo una parentesi che si apre e si chiude senza particolari significati, quasi cronaca pura.
Caruccio, non dico di no, ma anche fine a se stesso. Bravissimo Pitt, pure Gandolfini e gli altri, però Cogan è poco più che un esercizio di stile. E in tal senso, i livelli virtuosistici di violenza che raggiunge, ad esempio nel pestaggio di Ray Liotta, sono persino fastidiosi. Il titolo in originale, Killing Them Softly, si riferisce alla filosofia omicida di Cogan, il quale ama uccidere le persone "dolcemente", con un certo riguardo, senza sottoporre quei poveri cristiani ad inutili torture o perdite di tempo. Il film è tratto dal libro Cogan's Trade del 1974 di G. V. Higgins.