Backcountry

Backcountry
Backcountry

L'attore canadese Adam MacDonald debutta alla regia nel 2015 proprio con questo survival horror di ambientazione campestre, presentato in anteprima al Toronto International Film Festival nel 2014 ed acquistato in quota parte da Uwe Boll per la distribuzione extra canadese. Già l'interesse dell'oltraggioso cineasta tedesco dovrebbe farvi rizzare le antenne, sia per quanto riguarda le atmosfere del film, sia per quanto attiene al potenziale appeal sul pubblico. Aggiungeteci una trailer assolutamente stuzzicante, che lascia presagire un'operetta divertente e ben congegnata, ed una presentazione del tipo "è per il bosco ciò che Lo Squalo è stato per l'acqua" et voilà, come non precipitarsi a vedere questo Backcountry?

Siamo, manco a dirlo, nel profondo bosco canadese, Missinabi Lake Provincial Park, dalle parti di Chapleau, Ontario. Una coppia di fidanzatini (avvocatessa lei, giovane marmotta mascellata e un po' sborona lui) si è regalata una vacanza in campeggio all'insegna della selvaggeria e della solitudine, recandosi fuori stagione (e senza mappa) nel cuore di un parco naturale. La vacanza sarà tutt'altro che distensiva e corroborante. - SPOILER: Alex (Jeff Roop) ha scelto questo luogo poco ameno per chiedere a Jenn (Missy Peregrym) di sposarlo, ma molto prima che ciò si concretizzi la Natura incontaminata assegnerà ai romantici esploratori della domenica il ruolo di prede intrappolate nel proprio crudele ventre labirintico.

La pellicola è sostanzialmente un gioco a due, sulla falsariga degli Open Water (per tornare al tema dell'acqua) o di Paradise Beach (qui addirittura con monoprotagonista). Lui, lei e l'ambiente circostante, rigorosamente ostile, sottovalutato e spietato. Backcountry per me si è rivelata una grandissima delusione, lo dico a malincuore perché dopo il trailer le aspettative erano davvero altissime; tuttavia il trailer racchiude il meglio del film. Quei due minuti sono il "best of" di una vicenda che potenzialmente aveva una grande idea ma naufraga assai modestamente su mille scogli. A mio gusto e parare il film li sperona uno dopo l'altro, nessuno escluso. Iniziamo dal cast, davvero mediocre; se punti tutto su due facce più pochissimo contorno, quelle devono reggere il peso di tutta l'architettura, e con Roop e Peregrym non succede affatto. Vero, il doppiaggio italiano li affossa ancora di più, ma pure visti e sentiti in originale non si ricordano certo per l'espressività di Jack Nicholson ed il carisma di Sigourney Weaver. Anonimi è dir poco. I dialoghi sono sciatti, inconcludenti, trascurabili e spesso si ha la sensazione che vengano tirati per le lunghe per fare minutaggio e non salassare lo spettatore con quarti d'ora interminabili di alberi, foglie, rovi e sterpaglie. Se su questo si poteva eventualmente soprassedere, il ritmo è forse il più grave difetto di Backcountry; per circa un'oretta (su 92 minuti complessivi) non succede niente, ma proprio niente niente. Non sono riuscito a capire dove volesse andare a parare MacDonald, quale fosse il suo punto di ricaduta dopo un tempo così sterminato di pellicola sprecato nel niente, asfissiato da tempi morti in sequenza. Esistono film come Bagliori Nel Buio ad esempio dove il climax è confinato nell'ultimo terzo di film, circa una ventina di minuti ma di un'intensità tale da riverberarsi su tutta la parte precedente della storia. Backcountry non fa neppure questo, quando il circo inizia (per davvero) è talmente blando e stento da far salire di pochissimo l'asticella dell'adrenalina. Avrei capito una lenta ma costante costruzione della tensione per poi portare lo spettatore ad un'esplosione magari breve e concentrata ma devastante. Qui non si respira la minima tensione per un'ora e poi si assiste ad un paio di scene giusto più concitate. Fine. Veramente troppo poco e troppo male per esaltare chi guarda.

Data la locandina del film ed il trailer, se vi foste aspettati un film incentrato sulla lotta tra uomo e orso ne avreste avuto ben donde, ma sareste stati fuori strada poiché l'orso è poco più che uno specchietto per le allodole. E' una delle minacce che infestano il bosco, certamente la più ingombrante e pericolosa, ma non l'unica, almeno non come tale viene offerta in dote al pubblico da MacDonald. E' un po' come fare un film sulle macchine da corsa, avere a disposizione una Ferrari e farla vedere sullo schermo per lo zero virgola percento. Non mi tirate fuori la storia che Spielberg lo squalo lo fa vedere pochissimo eppure genera un'ansia ed un'angoscia strabilianti, perché vi direi che avete perfettamente ragione ma non è questo il caso. MacDonald non dosa con parsimonia, strategia e lungimiranza la presenza della creatura, la maltratta e basta. Spielberg faceva "sentire" lo squalo per tutto il film, pur facendolo vedere col contagocce. Qui l'orso non si vede, non si sente e manco si immagina. Compare in modo quasi random e altrettanto fa quando deve togliere il disturbo. MacDonald è più concentrato sulla lotta per la sopravvivenza dei personaggi, pure questa però davvero tirata via, abbozzata e ritratta sciattamente. Gode nell'accentare determinate parentesi (ovviamente le più crude) ma in modo perlopiù fine a se stesso, come fosse un Eli Roth qualsiasi, a livello di sostanza poi il film semplicemente latita.

Peccato perché - come detto - l'idea di base non era malaccio, il senso di stordimento, di straniamento che un bosco immenso può provocare nelle persone è un'architrave di una costruzione che purtroppo non viene eretta in Backcountry. Rimane appena accennata. L'idea di non musicare quasi per nulla i fotogrammi, sottolineando la naturalità dell'ambientazione, è un'altra pensata accorta che però naufraga nell'involuzione generale (e viene pure parzialmente tradita quando durante la fuga finale si abbonda in elettronica alternativa). Che senso ha il personaggio di Brad (Eric Balfour) l'antipaticissima guida forestale, protagonista di un incontro con la coppia all'insegna della strafottenza gratuita e di ammiccamenti che non vanno da nessuna parte? Lì c'è una sottotrama pronta a partire che, per l'ennesima volta e come tutto il resto del film, semplicemente non viene colta e anzi, lasciata a marcire nel disinteresse di MacDonald, per altro anche sceneggiatore. Non bastano una fotografia glaciale e slavata, dei primi piani insistenti e delle inquadrature "docu-veriste" con telecamera a braccio per tenere in piedi una storia che falla in primis proprio in quello che sarebbe dovuto essere il suo tratto distintivo, il senso di minaccia, di pericolo, la sensazione di essere formiche in un ecosistema che ci domina e che gioca con noi come il gatto col topo. Alex e Jenn sono due stupidini, due ragazzotti bene di città che si perdono nel bosco e mettono in fila idee sconclusionate e balorde una dietro l'altra... e però, alla fine l'avvocatina bambolina gnegne diventa Lara Croft, in una sorprendente trasformazione istantanea come la polenta, senza passato e presente, ma evidentemente con un futuro radioso nel mondo dell'avventura spericolata. Ultima nota stonata - e siamo ancora in pieno SPOILER quindi attenzione! - il corpo straziato di Alex, inutilmente caratterizzato all'insegna del gore, come se invece di essere stato seviziato da un orso fosse stato preda di un'orda di zombie assatanati, il tutto per altro nel volgere di appena una manciata di secondi, un dettaglio totalmente inverosimile, grossolano e a buon mercato (sempre dalle parti di Eli Roth e compagnia chic & choc).

Trailer ufficiale

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