Doveva capitare pure questa prima o poi, ovvero incappare in un film dei Manetti Bros che non mi ha appagato come mi aspettavo. Per me un titolo del duo romano è come giocare sul velluto, ne apprezzo lo stile, la professionalità, il mondo di riferimenti e citazioni a cui si appellano (dato che è il mio stesso humus), nonché la rodata famigliola di attori ai quali oramai ricorrono con una certa sistematicità. Eppure è venuto quel giorno, dovuto perlopiù alla scelta di dare la forma di musical al prodotto. Ammore E Malavita non solo è un musical ma lo è con una marchiana specificità, ovvero quella di andare a ripescare la tradizione partenopea sull'argomento, dunque gli Alfonso Brescia, i Ninì Grassia, i Nino D'Angelo, i Carmelo Zappulla, i Gigi D'Alessio, i Mario Merola. Laddove quelle erano storie tutte sentimentali e drammatiche, il cui collante erano le canzoni di amore e malavita cantate dagli accorati protagonisti, sempre sull'orlo (ed oltre) della sceneggiata teatrale pacchiana e patetica, i Manetti filtrano l'operazione nostalgia e smitizzano il pathos con ironia e toni da commedia, come sono usi fare.
Ecco che Ammore E Malavita (titolo precipuo) diventa una quasi parodia dei film canterini napoletani; lo schema è quello che i fratelli registi ci hanno abituato a conoscere con le loro produzioni ed in particolare con Coliandro. Una messa in scena solidissima, ultra professionale, ma allo stesso tempo sempre creativa, originale, estrosa, mai adagiata né su di un lineare ed ordinario stile televisivo, né esclusivamente "classica", senza spunti di innovazione; un cast devoto e ferratissimo, che interpreta situazioni buffe ed assurde come fossero Orizzonti Di Gloria, e naturalmente in questo caso l'apporto della musica (e delle coreografie, curate da Luca Tommasini) come valore aggiunto. I Manetti decidono di trapiantare Napoli a Hollywood, o viceversa, dando un taglio americano a balletti e canzoni e trasformando Scampia e i vicoli di quartiere in scenari degni di Broadway. Dunque riconosco senza fatica il coraggio ai Manetti di aver tentato per l'ennesima volta di sparigliare le carte, di averlo fatto con ambizione e competenza, con un carico di idee generoso ed abbondante, e di averci messo la rituale professionalità che li contraddistingue e che li ha oramai resi una delle realtà più interessanti e concrete del "nuovo" cinema italiano, quello che sa anche essere intrinsecamente internazionale.
Le dolenti note - per me - sono un certo disagio nel contesto musicarello che impregna Ammore e Malavita. Non sono riuscito ad entrare in sintonia con i vari momenti salienti segnati dalla ineluttabile necessità di balletti e canzoni. Troppo frequenti, troppo di rottura rispetto alla storia, al punto tale da interrompere (fastidiosamente) il mio flusso di immedesimazione e coinvolgimento. Non ho apprezzato la Gerini, il suo personaggio è estremamente caricaturale, macchiettistico, sforzato, segnato con l'evidenziatore a punta grossa; ci ha vinto un David di Donatello con la sua Donna Maria, quindi evidentemente c'è chi la pensa agli antipodi, ma a me la Gerini quando strafa - divertendosi, perché è evidente che lei se la stia spassando, buon per lei - non convince mai (come in Grande, Grosso E... Verdone, per citare un altro esempio). Discreta attrice quando è un po' più imbrigliata, la sua sensualità fa il resto; ma quando gigioneggia, a mio gusto e parere, va quasi sempre fuori binario. A tratti Ammore E Malavita pare una sorta di Coliandro in versione musical, vuoi per il taglio poliziesco/camorristico, vuoi per la presenza di parte di quel cast. Morelli è superlativo, un vero duro, la dimostrazione della versatilità dell'attore. Serena Rossi è bravissima, voce perfetta quando canta e sempre in parte quando recita (peccato quella parrucca afro orrenda... ma magari è una citazione di qualcosa). Buono comunque tutto il cast di contorno.
Alla fine della fiera di David il film ne ha portati a casa ben cinque (miglior film, costumi, musiche, canzone originale e attrice non protagonista), poi altrettanti Ciak d'Oro, un Globo d'Oro e tre premi a Venezia. Probabilmente sono davvero l'unico a non aver colto lo spirito goliardico e vincente della pellicola; o meglio, per coglierlo l'ho anche colto, solo che è proprio un mio limite quello di impantanarmi con i musical, salvo rarissime eccezioni. Qui c'è pure l'aggravante dell'idioma; credo che per molti sia quasi impossibile comprendere i dialoghi senza ricorrere all'uso dei sottotitoli in sovra impressione, come si trattasse di un film in lingua straniera, cosa che per certi versi in effetti è. Ammore E Malavita non è un passo falso dei Manetti, quanto piuttosto un loro esperimento, l'incursione in un altro nuovo territorio che i due hanno voluto sperimentare, per altro con buonissimi riconoscimenti di pubblico e critica (per lungo tempo non è stato così, adesso - di contro - è quasi sempre oro tutto ciò che toccano). Speriamo che dunque tutto questo consenso si traduca in propellente per future produzioni e realizzazioni, personalmente non vedo l'ora di rivederli all'opera.