C'è chi dice che dopo il 1968 non si dovrebbe avere nemmeno più l'ardire di girare film di fantascienza. L'anno di 2001: Odissea Nello Spazio, per quei pochi che non lo ricordassero. Circa 15 mesi dopo avvenne l'allunaggio, altra data che avrebbe potuto scoraggiare (o, al contrario esaltare) molti registi. Fatto sta che per disgrazia o per fortuna la fantascienza è andata avanti, copiosa e generosa, e a tutt'oggi di film che indagano lo spazio ne abbiamo in quantità industriale, letteralmente (l'industria di Hollywood e non solo, anche molto cinema indipendente). L'ultimo in ordine di tempo che personalmente ho visto è Ad Astra, regista americano di origine ucraina, di famiglia ebrea, che esordì nel '94 con quel piccolo gioiellino di Little Odessa, e che da allora ha messo in fila non moltissimi titoli. Ad Astra è un'opera ambiziosa, una fantascienza di stampo filosofico ed esistenzialista, ed anche per questo verrebbe da associarla al Nolan di Interstellar. Non siamo lontanissimi da quel registro, certamente chi ha apprezzato il genietto londinese potrebbe gradire anche questo film (immagino continuando a ritenerlo inferiore all'arte di Nolan) C'è però anche il caso di chi non si è prodotto in apprezzamenti a spertica pelle nei confronti di Mr. Nolan ma ha ugualmente gradito Ad Astra, anzi, preferendolo addirittura a Interstellar. Eccomi, c'est moi. E' vero, Gray gira un film riflessivo, spirituale, teorico, intellettuale e metafisico, non insiste sull'azione, mostra la tecnologia ma non la strumentalizza per ottenere effetti wow, i momenti di dialogo ed introspezione psicologica sono infinitamente maggioritari rispetto a ciò che gli occhi possono ammirare (aspetto affatto collaterale o secondario in un titolo sci-fi). Tutti elementi nolaniani, apparentemente perlomeno. Non c'è l'autocompiacimento del gesto tecnico, la tronfia esibizione di talento (autoriconosciuto), non c'è la necessità di protrarre il film per durate siderali dovendo mostrare tutto, contestualizzare tutto, enfatizzare tutto, dettagliare tutto. Non c'è una descrizione dei personaggi asettica, anti-umana, ruffiana e antipatizzante. Non c'è il colpo al cerchio e quello alla botte di Nolan (per la scienza/contro la scienza). Non c'è la maniacalità scientifica che va talmente oltre da dare per vere ed acquisite delle teorie, plausibili, ma teorie (fino a qui). Non c'è la volontà aprioristico di andare oltre il cinema, come manifesto d'intenti, creando un golem che si ciba di filosofia, scienza, esistenza, quasi a voler fondare nuove religioni. Non c'è neppure la prosopopea di sentirsi in fondo in fondo l'unico vero degno erede e prosecutore di Kubrick.
Gray realizza un film "normale", per modo di dire normale. Ad Astra è esteticamente appagante, ha mestiere e professionalità dalla sua, ha un ottimo cast, con il solo Tommy Lee Jones forse più stonato del solito. Un Brad Pitt che certamente ha il suo ruolo nell'attrarre spettatori al cinema, ma che si arrischia nel progetto finanziandolo e accettando di interpretare un ruolo che tutto è fuorché supereroistico o superomistico, anzi. Al di là della sua professione, l'astronauta, il maggiore Roy McBride è un essere umano qualunque con le debolezze e le fragilità dell'essere umano qualunque, il tipico essere umano della contemporaneità, reso apatico, svuotato, cinico, anaffettivo dalla dimensione della propria esistenza in un mondo talmente assordante, caotico e irrazionale da annichilire le coscienze e le personalità. Lo spettatore può immedesimarsi con McBride, può capirlo, può persino arrivare a compatirlo, perché è facile riconoscervisi. Impossibile che accada lo stesso con i personaggi tratteggiati da Nolan, figurine da teatro shakespeariano che frammettono tra il pubblico e loro stessi tonnellate e tonnellate di arte, intellettualismo e idee platoniche di loro stessi. I pistolotti sull'amore di Nolan (vedi Anne Hathaway) non sono i pistolotti sull'amore di Brad Pitt; checché se ne dica, lo spessore di Gray è di ben altra maturità, è un'analisi adulta e asciutta, ovvero opposta e contraria a quella di Nolan, che invece viene celebrato come il più cervellotico e sottile degli autori moderni. La parabola del maggiore McBride è chiara, lineare, a suo modo semplice, ma di una profondità disarmante, ha in sé tutto, non necessita di baracconate come il luna park Ikea con cui si chiude Interstellar. E' tutto più intimo, autentico, in altre parole, genuino. Non c'è vanità. Al momento dell'annuncio del film Gray descrisse le sue intenzioni come un avvicinamento a Cuore Di Tenebra di Conrad. E infatti a ben vedere, on la "scusa" di voler indagare l'universo (alla ricerca di altre fonti di vita), l'uomo di Ad Astra indaga se stesso, e tanto più si spinge verso i confini remoti della galassia, tanto più scende in profondità dentro il proprio cuore di tenebra.
Il film è stato accusato di inverosimiglianza per quanto attiene alle parti strettamente scientifiche, e di buchi di sceneggiatura per quanto riguarda la trama. Inoltre c'è chi ha valutato la introversa e minimalista recitazione di Pitt troppo.... introversa e minimalista. Rispetto queste critiche ma non ne le condivido. Rispetto alla inverosimiglianza questa c'è; Pitt che attraversa l'anello di detriti di Nettuno facendosi scudo con un pezzo di metallo (e non subendo alcuna deviazione di traiettoria a seguito degli impatti) è alquanto azzardato, così come lo sfruttamento dell'esplosione nucleare come propulsione per scagliare il proprio razzo verso la Terra. Ma il punto è che Ad Astra non si focalizza sull'aderenza 100% al manuale stilato dalla Nasa per rendere un film di fantascienza inattaccabile (esattamente come non si concentra sugli effetti speciali, che pure ci sono è sono notevoli). Gray narra una storia, lambendo quanto possibile la verità scientifica, ma servendosene come elemento di coloritura per raccontare ciò che gli interessa raccontare, la storia del maggiore McBride che, per sineddoche, diventa quella dell'umanità. Il bilancino del rispetto delle leggi della fisica e dell'astrofisica è una finta argomentazione tanto cara a i nolaniani che spesso non colgono le inesattezze anche del loro mentore. I buchi di sceneggiatura invece non ci sono proprio; il fatto è che Gray racconta ciò che serve ed omette ciò che non serve, anche per questo il film ha una durata sostenibile e non sbrodola. Infine, l'interpretazione di Brad Pitt; a me pare perfettamente coerente ed adeguata al personaggio ed alla sua biografia, ma qui si va sul de gustibus, ognuno ha la sua sensibilità ed il suo gusto estetico. Menzione a parte per Liv Tyler, che sulle prime neppure avevo riconosciuto (anche perché, diciamocela tutta, ha veramente un numero limitatissimo di scene, spesso mai nette, chiare e pulite); mi ha fatto piacere ritrovarla in una chiave più sobria e matura, e meno glamour. Molto intelligente anche l'uso dei suoni e delle musiche, con ampie porzioni di silenzio che esaltano infinitamente il valore delle immagini. Ad Astra non passerà alla storia come il miglior film di fantascienza mai realizzato ma è un buon film che merita di essere visto, assai più di altri competitors dal pedigree ben più celebrato.