
John Frankenheimer è autore di film imperdibili e purtroppo questo Ronin ('98) arriva quasi a chiudere la sua carriera, dopo ci sarà solo Trappola Criminale con Affleck e la Theron e poi fine delle trasmissioni (perlomeno su grande schermo, in tv nel 2002 arriverà il film Path To War), anche perché morirà a seguito di complicazioni post operatorie dovute ad un intervento chirurgico alla spina dorsale. Tornare alla visione di Ronin dunque è un buon esercizio di memoria, tanto più che erano diversi anni che non lo rivedevo e che all'epoca, al cinema, mi esaltò moltissimo. Oggi posso rigustarmelo in bluray; le ambientazioni, gli iperrealistici inseguimenti in auto e, allo stesso tempo, un certo afflato riflessivo, spesso sconosciuto ai thriller polizieschi, finiscono così per beneficiare di un elevamento a potenza.
Pregevolissima la scelta innanzitutto di collocare la vicenda fuori dai confini americani, andando ad esplorare quell'Europa altrimenti cara a Polanski e pochi altri. Siamo a Parigi, tutta la storia ha luogo qua (e del resto, permettetemi il calambour, Frankenheimer era o non era il regista del secondo capitolo della "french connection"?), tra stradine e vicoli non esattamente pensati per inseguimenti scavezzacollo, sparatorie ed esplosioni molto scenografiche, e proprio da questo contrasto nasce il fascino di ciò che vediamo. Il film però inizia all'insegna del Giappone, vuoi perché una didascalia ci spiega cosa si intende con il termine "ronin" (i samurai senza padrone e dunque senza onore), vuoi perché a seguito di questa introduzione la musica (di Jerry Goldsmith) assume immediatamente connotati orientali, mentre Robert De Niro (americanissimo ex agente CIA), scende delle scalette caratteristiche verso un locale parigino molto tipico. Una commistione di coordinate geografiche alle quali successivamente si aggiungerà anche l'Irlanda, poiché nella vicenda spionistica sono coinvolti i terroristi dell'Ira.
Un drappello di ronin, mercenari, tutti ex qualcosa, vengono assoldati per una missione, rubare una valigetta della quale non sapremo mai l'esatto contenuto, e Frankenheimer avrà l'ardire di abbandonarci dopo 120 minuti di visione senza avercelo svelato (una finezza da vero maestro, che non può non ricordare l'analoga valigetta di Pulp Fiction), tuttavia sapremo la conseguenza di tale azione paramilitare. All'indomani dell'obiettivo raggiunto, verranno firmati gli accordi di pace a Belfast (10.04.98). Dunque una missione tutta sangue e pallottole, con tradimenti, rovesciamenti di fronte ed egoismi personali, ma finalizzata al bene. I nostri killer infatti sono fondamentalmente dei buoni, duri, con la corteccia ruvida, lo sguardo torvo, i metodi spicci e la risposta pronta, ma non spietati e senza morale. In particolare De Niro e Jean Reno, le due personalità più di spicco del plotone. Il cast è completato da comprimari di lusso quali Stellan Skarsgard, Sean Bean, Michael Lonsdale, Jonathan Pryce e Natasha McElhone, faccia nota e molto particolare che tuttavia non mi ha mai fatti scattare le farfalle nello stomaco, forse per via di una certa legnosità espressiva (in questo vagamente simile a Emmanuelle Seigner, anche se infinitamente meno sensuale e magnetica). Special guest di lusso la pattinatrice pluricampionessa del mondo e oro olimpico Katarina Witt, nella parte della pattinatrice Natascia Kirilova (che si becca pure un proiettile).
La cosa migliore di Ronin (alla cui sceneggiatura collabora pure David Mamet) sono le esterne iper adrenaliniche; certo dialoghi e personaggi sono discretamente curati, comunque più che nella media dei polizieschi, c'è maggior profondità e umanità, tuttavia la maestria con la quale Frankenheimer gira per strada in presa diretta, tutta realtà vera, senza post produzione, digitalizzazioni e quant'altro, trasmette un senso di autenticità e di cinema con la C maiuscola che solo i grandi del mestiere possiedono e sono in grado di esprimere, tant'è che gli inseguimenti automobilistici sono stati accostati a quelli di Bullit e proprio de Il Braccio Violento Della Legge. Ronin è cinema della vecchia scuola, solido ed affidabile, non inventa nulla ma restituisce tutto al meglio e gli occhi dello spettatore non possono che ringraziare.