
Penultimo lavoro del regista austriaco Georg Tressler, attivo tra gli anni '50 e i '70, e poi tornato nell'89 proprio con questo delirante film di stampo horror agreste, per altro con la peculiarità del contesto alpino, piuttosto raro se non unico. Di Tressler leggo che è stato un ammiratore di Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, che ha prediletto la ricerca del naturalismo, anche a livello di ambientazioni e set delle sue produzioni, e che era fortemente attratto da tematiche controverse. Tutte caratteristiche che è facile ritrovare in questo Sukkubus, da noi importato come Posseduta (De Sica e Rossellini a parte). Evidentemente ispirato a leggende montane di area svizzera (come chiarito sin dalla didascalia iniziale che apre il film), Sukkubus narra la vicenda di tre pastori, due adulti e un ragazzo, che portano al pascolo le mucche per ottimizzare la produzione di formaggio. Da subito il leader dei tre si caratterizza per un fortissimo afflato religioso, è quasi un mistico, un prete laico delle Alpi che loda continuamente il Signore, si raccomanda ai santi, prega e officia rituali che pretende vengano eseguiti anche dai suoi compari. L'altro pastore pare in realtà di tutt'altra pasta, disegna stelle a cinque punte, cita il diavolo e soprattutto è schiavo di una lussuria che non riesce mai a soddisfare dato il contesto; tant'è che vorrebbe concupire il giovane, il quale a sua volta vittima di questo clima morboso e lascivo prova ad intrattenersi con le mucche. Ma pure il capo pastore ha voglie "sbagliate" quando assiste alla monta delle mucche da parte del toro, anche se corre a scacciare via ogni tentazione immergendosi in acque gelide. I tre insomma sono circondati da superstizioni e brama libidinosa. Una notte, complice una forte ubriacatura da grappa, addobbano alla bene e meglio un fantoccio con sembianze femminili senza rendersi conto che più il gioco perverso va avanti più la realtà si trasfigura, fino al punto che quei legni nodosi e quelle stoffe rigonfie lasciano il posto ad un vero corpo di donna (quello di Pamela Prati). Da quel momento in poi i pastori vengono perseguitati da un demone che non dà loro tregua.
A livello fotografico il film è notevolissimo, i paesaggi alpini (visibili in full HD remastered grazie all'ottima edizione Oblivion Grindhouse del dvd, ma ne esistono anche altre come quella Mondo Macabro) sono mozzafiato e Tressler gli concede giustamente molto spazio. Saggiamente il film dura appena 77 minuti, pur essendo offerto nella sua integralità, come una fiaba nera, una leggenda folklorica che si compie brevemente e che nella sua fulminea essenza emana una grande e disturbante intensità. I tre pastori sono creature di per sé alquanto abbiette, la cui ignoranza non fa altro che aggravare la situazione. Tuttavia quando subentra il soprannaturale, demone, strega, succube - comunque lo si chiami - la situazione precipita, anche perché ogni volta che i tre credono di averla eliminata la figura si ripresenta. Il suo tratto principale è la smaniosa voglia e infatti i pastori la fanno montare a forza dal toro per placarla, ma lei non viene annientata. Cade da un burrone, ma torna illesa. Viene inseguita e percossa, ma i suoi poteri non vengono ridimensionati nemmeno dalla preghiera verso Dio. A ben vedere, a essere posseduti più che la donna sono i tre pastori, posseduti dalla superstizione, posseduti dalla paura del diavolo, posseduti dalla lussuria. Ciò che hanno evocato rispecchia ciò che essi stessi sono, lascivia e superstizione. Il succube è fedele alla propria essenza, non è si tratta di una donna posseduta bensì della materializzata prodotta da tre "posseduti" dai propri demoni interiori, ignoranza, superstizione e lussuria. Il film ha momenti anche piuttosto forti, come lo scuoiamento della mucca, la monta del toro o lo scuoiamento di uno dei tre pastori, la cui pelle poi viene appesa a mo' di trofeo sul fronte del rifugio dei pastori.
Si percepisce tutta la paura e lo smarrimento dei tre, letteralmente impotenti davanti al diavolo dalle sembianze di una Pamela Prati, all'epoca 31enne, praticamente al climax della sua magnificenza fisica, impossibile non rimanerne estasiati. Lo stratagemma di dotarla di lenti a contatto cerulee per conferirle uno sguardo arcano e insondabile non mi ha esaltato granché, risulta troppo pacchiano, forzato, posticcio, credo che la Prati avrebbe incusso ancora più terrore con i suoi profondi occhi marroni. L'attrice sarda non ama citare questo lavoro nella sua filmografia, stretto tra Io Gilda e Una Donna Da Guardare, e fa male perché in realtà rispetto alla media degli erotici ai quali ha partecipato Posseduta ha dalla sua una indiscutibile originalità, senza nulla togliere alla bellezza del suo phisique du role. All'epoca il film venne distribuito in Italia in VHS con copertine e presunte foto di scena totalmente avulse dal film, in modo tale che l'avventore lo ritenesse un classico film erotico, rimanendone poi inevitabilmente deluso. Sullo stesso tema sono stati realizzati almeno un altro paio di opere, anche se da angolature piuttosto diverse.