Luca Miniero e Paolo Genovese non sono esattamente tra i miei registi preferiti, anzi, hanno il profilo perfetto per la mia rubrica Benbow vs Commedia Italiana 2.0, sono dei perfetti esponenti di quella infinita serie di stereotipi, luoghi comuni, qualunquismi e facilonerie che appestano l'odierna cinema italiano e che hanno cancellato anni ed anni di mordace, pungente, caustica, arguta commedia italiana. Tuttavia entrambi hanno esordito dalla pubblicità al cinema con un titolo del quale hanno co-scritto soggetto e sceneggiatura e hanno anche co-diretto, Incantesimo Napoletano (2002). Romano il Genovese, napoletano il Miniero, i due si sono calati egregiamente nello spirito della città (e della cultura) partenopea firmando una simpatica farsa buffa nella quale si ride amaro e attraverso il ricorso a cliché e stereotipi si riesce - almeno stavolta - a riflettere anche un po'. Incredibile ma vero. Soprattutto è incredibile che poi in carriera abbiano completamente perso la mano nel girare questo tipo di cinema e abbiano speso ogni fotogramma per lisciare il pelo ad un pubblico pigro e a produttori avidi. La vicenda di Incantesimo Napoletano è semplice ma non banale, parte da un presupposto molto elementare e disadorno di tanti perché e percome, di punto in bianco accade e i personaggi devono farci i conti. Ad una veracissima coppia napoletana, orgogliosissima di esserla (Gianni Ferreri e Marina Confalone), nasce la tanto sospirata figlia, Assuntina. La sua prima parola è "mamy" anziché "mammà", a cui seguirà coerentemente "papy" anziché "papà". Da lì in poi per i coniugi sarà una discesa all'inferno, di stampo meneghino. La bimba parla un perfetto milanese e, quel che è peggio, ha gusti, abitudini ed inclinazioni milanesi (per dirne una, non gradisce la pastiera e le sfogliatelle ma vuole il panettone). Ferreri si dispera, è una coltellata al cuore, una vergogna che cerca di celare ad amici e parenti; mentre la Confalone, pur sconvolta, è combattuta tra il dispiacere e l'amore materno per la figlia, carne della sua carne.
Assistiamo alla crescita della bimba con salti temporali macroscopici. Riesce difficile credere che nessuno si accorga di lei fin quando Assuntina diventa una ragazza, ma tant'è, il racconto è intonato alla maniera di una favola paradigmatica e come tale va preso, del resto siamo alle prese con un misterioso incantesimo che più che altro pare un sortilegio. Le vicissitudini di questa famiglia disperata portano Assuntina a Torre Annunziata, allontanata da casa ed affidata a degli zii perché possa imparare le maniere napoletane. Al suo ritorno non solo Assuntina sarà rimasta perfettamente milanese, ma sarà pure incinta. Sotto quale luna nascerà sua figlia? Il film ha una durata ufficiale di 82 minuti, io ne ho visto una versione su Prime Video di 71, quindi rimango perplesso della differenza abissale di ben 9 minuti, un tempo enorme in un film sotto l'ora e mezzo, e per di più senza alcun contenuto passibile e/o comprensibile di taglio censorio, se non la mera necessità di programmazione televisiva schiavizzata dalla pubblicità (master che evidentemente poi Prime Video deve aver ereditato). Tant'è che l'impressione che quei 71 minuti suscitano è che effettivamente il film sia troppo stringato (di solito mi succede il contrario). E per altro, viene proprio da chiedersi cosa accada alla piccolina di Assunta una volta venuta al mondo sotto il cielo di Napoli ed al cospetto del suo golfo. Peccato. Fortunatamente comunque anche così si ha la netta percezione che il film sia un ottimo prodotto, una storia narrata sapientemente, con gusto ed un certo occhio estetico (che Miniero e Genovese portano evidentemente in dote dalla pubblicità, con quegli stacchi meramente decorativi ma di grande effetto nei quali diverse fasi della vicenda sono raccordate da campi medi di tipici personaggi napoletani, come pescatori, donne e bambine). Gli scorci scenografici sono davvero magici ed immergono personaggi e situazioni in un clima irreale, senza tempo, una fiaba appunto. Si sorride spesso alle esternazioni di Ferreri e delle figure che lo contornano, mentre alla Confalone (la sempre bravissima Confalone) sono riservate parentesi più profonde ed emotive, si veda il suo dialogo accorato con il ritratto di Gesù sull'esser donna. Tra i caratteristi, molto divertenti sono i parenti perennemente indaffarati a cucinare il ragù e quelli ritratti sempre mentre amoreggiano nel tentativo di avere un figlio. Mentre fanno l'amore in diverse posizioni "sfondano" la cosiddetta quarta parete e si rivolgono al pubblico, chiosando e commentando le tragicomiche vicende della famiglia protagonista; idem i cuochi del ragù, decisamente ostili alla bimba napoletana (apostrofata senza tanti giri di parole come una "schifosa" e "figlia e' ndrocchia"). Inoltre, come voce off narrante, c'è proprio Assuntina, oramai anziana, che ripercorre la sua biografia a ritroso e spesso occupa fisicamente la scena che sta raccontando. Una serie di trovate insomma al limite del metacinematografico che rendono il film originale, frizzante e piuttosto sorprendente. Ferreri preferirebbe che sua figlia fosse muta, magari avesse qualche malattia o fosse autistica anziché parlare milanese, una "diversità" inaccettabile. Una diversità che lo costringe a riflettere ed a venire a patti con se stesso.