Penultima pellicola di Luis Buñuel che si situa in mezzo ad un trittico impressionante che va da Il Fascino Discreto Della Borghesia (1972) a Quell'Oscuro Oggetto Del Desiderio (1977). Anche Il Fantasma Della Libertà è un film complesso, ricco, pieno di sfumature e punti interrogativi, in pieno stile surrealista. Ed ogni qual volta vi sembrerà di riuscire ad acchiappare il bandolo della matassa accadrà qualcosa che vi costringerà a ripartire da capo. L'opera è drammatica e comica al contempo, beffarda, buffonesca, inquietante, sottile, esistenzialista, misteriosa, astrusa, affascinante. Si intrecciano ben 14 storie, quadretti amalgamati in un unico flusso narrativo; le figure si avvicendano l'un l'altra come nella lotta libera, attraverso un "touch" che fa entrare chi fino a quel momento era stato alle corde, fuori dal ring, in attesa del suo momento. Nel dipanarsi di una storia entra in campo un nuovo personaggio e allora lo spettatore si sposta assieme all'obbiettivo sul micromondo di quest'altro personaggio, poi un altro e un altro ancora, in un continuo passaggio di testimone. Talvolta capita che in modo corale il gruppo si riunisca ed alcune facce già viste in precedenza tornino in scena per poi nuovamente disperdersi.
Alcuni passaggi sono davvero molto forti, anche visivamente, e rimangono decisamente impressi. Penso alle truppe napoleoniche occupanti Toledo, che in modo blasfemo ci cibano del sangue e del corpo di Cristo in una chiesa, e poi proseguono oltre con il sepolcro di due nobili; o al rendez vous di borghesi a sedere su dei water che simulano un pranzo, mentre durante la sessione l'interruzione (inopportuna) è rappresentata proprio dalla pausa pranzo (anch'essa una necessità corporale), da consumarsi rigorosamente appartati, in una stanza apposita, chiusa a chiave; oppure ancora alle terga frustate di Michael Lonsdale; per non parlare di Adriana Asti, nuda, che suona al piano la rapsodia di Brahms. Molti episodi sono davvero forti anche concettualmente, mi riferisco a quello del pedofilo che in realtà non è affatto tale poiché smercia foto turistiche alle bambine dei giardinetti, immagini in grado di sconvolgere ed eccitare terribilmente i loro genitori, come fossero il climax del proibito; oppure alla truppa di frati carmelitani dediti al fumo, all'alcol e al gioco d'azzardo; oppure ancora al cecchino che stermina persone a caso dai tetti di Parigi. Anche se forse il più divertente e assurdo fra tutti è quello con Jean Rochefort e Pascale Audret, i coniugi Legendre, che perdono la figlia senza averla mai persa. Dapprima a Messier Legendre viene diagnosticato in modo alquanto improbabile un cancro avanzato (dal medico nonché suo amico Adolfo Celi), poi accade che la scuola comunichi ai genitori la sparizione della bimba che è regolarmente in classe ma che non viene vista da nessuno. Il non-sense prosegue anche al commissariato di Polizia, dove i due denunciano la scomparsa della figlia, con la figlia presente, che infatti viene presa a modello per fare l'identikit per trovarla. Una situazione veramente paradossale che risulta al contempo estremamente divertente ed inquietante. Forse Buñuel ci sta dicendo quanto i ragazzi siano diventati del tutto invisibili per i propri genitori e per la società, o forse non sta minimamente dicendo quello e sta andando in tutt'altra direzione. Il bello è che nessuno può saperlo, è possibile solo fare congetture e godersi il viaggio nel paradosso e nell'iperbole.
E così tra struzzi, ballerine di flamenco, icone di San Giuseppe, tra una Monica Vitti e una Milena Vukotic, una seducente Adriana Asti ed un sornione Adolfo Celi, assistiamo a questa sfilata di parafernalia del grottesco, a messaggi criptici eppure incredibilmente potenti e suadenti che possono voler dire tutto ed il contrario di tutto. Si pensi all'incredibile forza espressiva dell'immagine divenuta forse più iconica di questo film e di tutto Buñuel, i commensali riuniti sui water che discettano del peso delle feci sul pianeta, una metafora decisamente convincente sullo stato del pianeta, della borghesia e dell'umanità. Il regista spagnolo girò questo film a 74 anni anni, nel segno di una lucidità e di una capacità narrativa sbalorditive; il caso governa tutto, il bisogno - lungi dal detenere la stessa purezza - arranca a seguire, questo il tema fondante sul quale Buñuel disse di aver impostato l'intero film. Per altro molti degli elementi contenuti in Il Fantasma Della Libertà sono da considerarsi biografici, ancorché debitamente romanzati. Lo stesso titolo, piuttosto obliquo, pare riferirsi allo spettro (il fantasma) del comunismo, verso il quale i surrealisti inizialmente provarono molta simpatia, per poi relativizzarlo e contestualizzarlo con più distacco negli anni. Per Buñuel ci ritroviamo spesso al cospetto di bivi alquanto complicati, che conducono ad altri crocevia e a labirinti sempre più fantastici; eppure in qualche modo per avanzare dobbiamo scegliere una strada.



