
Benché si tratti del film numero 11 del franchise, questo ennesimo Halloween è da intendersi come diretto sequel del primo omonimo film, 40 anni dopo, gli stessi 40 che pure dentro la pellicola vengono fatti trascorrere. A mare tutti i vari sequel e reboot, comprese le recenti ripartenze firmate da Rob Zombie. Torna in campo sua maestà Carpenter il quale, oltre alla sua benedizione e alla consulenza creativa, co-produce il film e firma le musiche ampliando il tema originale (diventato iconico quanto la maschera di Michael Myers). Siamo talmente fedeli all'originale che persino Nick Castle è della partita (l'indossatore originale della mascheraccia), assieme alla rediviva Jamie Lee Curtis, i cui capelli da anziana intendono scimmiottare il taglio della giovane Laurie Strode, creando un effetto di bruttezza non indifferente. Incassi alle stelle, la pellicola è stata accolta assai bene (c'è ancora fame di Halloween) e purtroppo questo non esclude un dodicesimo capitolo. Non lo esclude neppure l'hook finale, dopo i titoli di coda. Mi taccio e non dico altro.
Per quanto mi riguarda, al di là dell'effetto nostalgia, il film non mi ha fatto un grande effetto. Apprezzabile il continuo gioco di rimandi citazionistici all'originale del '78, apprezzabile anche la telefonatissima inversione di ruoli tra vittima e carnefice (la teorizzano plasticamente i due giornalisti che si vedono all'inizio nonché il Dr. Ranbir Sartain/Haluk Bilginer), che si concretizza soprattutto nel finale. Dignitosa la fotografia. Quasi del tutto assente la tensione. C'è per induzione, ovvero la maschera di Myers ti fa tremare più per quello che rappresenta che per ciò che realmente accade in Halloween 2018. Non che manchino ammazzamenti, anche piuttosto sadici (il primo cadavere è addirittura quello di un bambino), ma è evidente che il film non vuole pigiare su quel tasto, mostra per una frazione di secondo e passa oltre, non parlerei di uno slasher particolarmente crudo e sanguinario. Elegante nella messa in scena, misurato, calibrato, come detto il prodotto è professionale e quindi tutto sommato gradevole, ma siamo su binari ordinari, a tratti persino banali, ancorché privi di grosse sbavature. I personaggi sono senza infamia e senza lode, non eccedono né in stupidità né in sottigliezza, fanno un po' quello che devono fare, in alcuni casi in modo fin troppo prevedibile (il ciccione battutista e un po' frustrato sessualmente, il genero un po' tontarello della Curtis, eccetera).
Mi ha molto stupito la figura del medico curante di Myers, francamente azzardato per come è delineato. Il suo è un personaggio di volta perché senza di lui non accadrebbero determinate cose che fanno prendere alla storia una strada piuttosto che un'altra. E tuttavia si sente chiaramente che porta questo peso arrivando ad avere comportamenti ai limiti del comprensibile. La Curtis è costruita in un modo che pare debba diventare Chuck Norris, invece poi l'aspetto "rombo di tuono" viene un po' edulcorato, nonostante il finale sia abbastanza teso e apprezzabile, proprio perché non cerca l'effetto stupefacente e megalomane ad ogni costo ma sta sulla concretezza. L'ultima inquadratura è sul coltellaccio insanguinato; non vi dico chi lo impugna, ma certo verrebbe da pensare che potrebbe avere un ruolo nel l'ipotetico sequel, volendo anche immaginare un passaggio di consegne. Quando nel 2016 Carpenter firmò per il suo ruolo di produttore esecutivo, dichiarò di averlo fatto per contribuire a rendere il nuovo Halloween il più spaventoso di tutti. Beh caro John, in tutta onestà... avrei qualcosa da ridire al riguardo.