![Donne Con Le Gonne](https://www.cineraglio.it/wp-content/uploads/2018/01/gonne-cover-318x450.jpg)
Senza girarci tanto intorno, questo è il film spartiacque nella carriera di Francesco Nuti. Per tutti gli anni '80 l'ex Giancattivo aveva fatto sfracelli al botteghino e tra i muscoli addominali degli spettatori paganti in sala, sempre scatafasciati a terra dal ridere grazie alle sue commedie originali, salaci e romantiche al contempo, allegre eppure malinconiche. Willy Signori è l'ultimo grande film di Nuti, non il suo migliore, ma ancora nella top dei titoli meglio riusciti. Ci sono appena due anni di distanza da Donne Con Le Gonne, eppure è cambiato il decennio, è cambiato il pubblico, è cambiato il cinema, è cambiato Francesco Nuti. E' più spento, più adagiato, più arroccato su certi chiodi fissi che lo ossessionano, demoni e fantasmi che lo condizionano parecchio dietro la MdP.
In cabina di regia il team è sempre lo stesso, l'affiatato trio composto assieme a Chiti e Veronesi; produce De Laurentiis stavolta anziché Cecchi Gori (sempre con Piccioli). Dopo la De Sio, la Muti, la Burt e la Ferrari (Pieraccioni non ha inventato proprio niente) è il turno nientemeno che di Carole Boquet, attrice e donna splendida, che si presta ad un ruolo insidioso, pieno di spine. Già perché il nodo nevralgico del film è proprio la questione femminile, come Nuti affronta quella metà della mela, come la descrive, la rappresenta, la mette in scena, come in modo implicito la giudica e a che funzione la assegna. La forza di Nuti è sempre stata quella di mascherare la sua misoginia con un'ironia tagliente, del tutto vincente, con il surreale, con il sentimentalismo, ora languido e malinconico, ora esplosivo e passionale, ma sempre sognante, pindarico, ai limiti del fanciullesco. Quella cifra lì cade del tutto in Donne Con le Gonne (titolo programmatico), si dilegua cedendo il posto ad una sorta di rabbia derivante dall'incomprensione verso l'universo muliebre. Nuti ed il suo alter ego Renzo Calabrese non capiscono le donne, nessuna donna del film, che si tratti della moglie, dell'amica (lesbica) della moglie, del pubblico ministero del processo, persino della madre. Due compartimenti stagni, due galassie incompatibili, due sordità che si parlano senza risultato.
La linea di confine la percorre la Bouquet - equilibrista che prova barcollando ad attraversarla - ma la traccia a monte Nuti. Ecco che difficilmente lo spettatore empatizzerà con la sua Margherita, mentre sorriderà e si intenerirà per gli arrovelli e la testardaggine di Renzo, che però - a ben vedere - compie diverse violenze durante il film, anche se aleatoriamente sempre giustificate dall'amore. C'è un dialogo paradigmatico tra i due, quando Renzo chiede perché lei non possa essere la donna che aspetta a casa il ritorno del marito, bada il focolare e si accontenta di quella vita semplice; Renzo le chiede e si chiede cosa ci sia di così terribile in quel quadretto (arcaico) e Margherita gli risponde che non c'è assolutamente niente di terribile, semplicemente lei non è quel tipo di donna. L'unica concessione di umanità che viene fatta a Margherita è questa rivelazione, per il resto il suo agire da donna libera ed emancipata viene vissuto quasi come un atto di guerra da Renzo. In questa poetica del patriarcato vecchio stampo di Nuti c'è tutto l'incancrenirsi del film su di una posizione ideologica che fa fatica ad essere respirata e digerita già nel 1991.
Oltre ciò, la verve comica di Nuti è comunque meno brillante di prima. Le gag sono stanche (la madre al cimitero che per tre volte si getta sulla bara del defunto marito), le battute fanno ridere molto meno, le situazioni sono più prevedibili del solito. Qualche zampata c'è ancora; tutta la parte in manicomio è stralunata e disagevole (come giustamente doveva essere), la fotografia è davvero bella in certi momenti (la parte contadina), con un incipit del film che pare addirittura Apocalypse Now. Divertentissimo il sondaggio tra le donne italiane relativamente al loro grado di soddisfazione all'interno della coppia; Nuti le ritrae nel pieno dell'atto sessuale (differenziandole pure per posizione) ingenerando un siparietto davvero buffo e particolare, anche perché le signore, completamente nude, si rivolgono direttamente allo spettatore/intervistatore. Nulla può il generoso Moschin, avvocato difensore di Nuti nel film, che narra tutta la vicenda a ritroso; per quanto il suo linguaggio sia forbito e avviluppante, e per quanto Moschin sia sempre quel grande attore che è, anche lui appare pleonastico e sprecato in un film che non acchiappa quasi mai lungo tutta la sua durata. E' iniziata la parabola discendente di Nuti, che del resto vanta alle proprie spalle una decina di titoli, tra regia e interpretazione, uno migliore dell'altro. Fisiologico un calo, e tutto sommato Donne Con Le Gonne è ancora vedibile, seppur lontano dalle meraviglie pirotecniche del decennio precedente.