La Macchina Nera

La Macchina Nera
La Macchina Nera

Il riferimento più scontato che viene fatto quando si parla de La Macchina Inferrnale (aka The Car in originale) è Duel di Spielberg, per la concomitanza dei motori come strumento di minaccia e persecuzione, come villain, come incarnazione del male, in entrambi i casi per altro metafisico ed irrazionale poiché totalmente spersonalizzato e confinato nelle lamiere di un mezzo semovente su quattro ruote, camion o automobile che sia. E poi c'è la provincia americana degli anni '70, con i suoi paesaggi, la sua solitudine, la sua polvere, i suoi vuoti, i suoi silenzi squarciati dal suono dei carburatori. Tutto vero. Allo stesso tempo mi pare strano che raramente si citi anche Lo Squalo come possibile precursore de La Macchina Infernale. La Lincoln Continental Mark III del 1971 (debitamente customizzata) che qui si prende la scena e assedia una comunità rurale del Nuovo Messico non è poi qualcosa di così distante e diverso dal predatore marino messo in scena, sempre da Steven Spielberg, nel 1975, come modalità di esecuzione. Il concetto di fondo è la lotta dell'uomo contro una forza sovraumana, inconcepibile, inarrestabile. C'è un senso di spaesamento e incredulità a cui fa seguito il terrore ed infine la strategia razionale per contrastare il pericolo mortale.

Tutto sommato La Macchina Infernale è uno strano film; se ci si dovesse limitare ai fotogrammi nudi e crudi, alla sua realizzazione, alla densità della sceneggiatura, risulterebbe un lavoro financo goffo, a tratti involontariamente ridicolo, gli anglosassoni direbbero "goofy", oggi probabilmente si direbbe "cringe". Gli "sceriffi" di Santa Ynez sembrano del tutto inadeguati a fare quello che fanno, ma lo dicono loro stessi, fino al giorno prima avevano al massimo assegnato qualche multa; gli abitanti del paese sono uomini e donne di un altro secolo, nel quale vigono regole ancestrali e fuori dal tempo, che consentono ad esempio ad un padre di famiglia di picchiare la moglie e sottometterla al proprio volere senza che vi siano conseguenze concrete di alcun tipo con le autorità locali, poiché la donna stessa rinuncia a qualsiasi rivalsa. Tutto scorre apparentemente tranquillo fino a che un bel giorno, dal nulla, si manifesta un omicida sadico che a bordo di un'auto nera, con i vetri oscurati, senza targa né maniglie alle portiere, falcidia qualsiasi cosa le si frapponga tra le ruote, donne, bambini, vecchi, in un delirio di sangue. La macchina è terrorizzante perché pare avere vita propria, ruggisce, fa squillare un clacson infernale e agisce come guidata da una vera e propria intelligenza, ancorché diabolica. Sarà Wade Parent  (James Brolin) a doversi occupare dell'assassino, dopo aver visto uccidere parecchi dei suoi colleghi, sceriffo compreso.

Non esiste un perché, non sappiamo niente della Lincoln, da dove venga, perché faccia ciò che fa, non c'è un contesto, c'è solo un presente ansiogeno, ritmato e maledetto. Se siamo disposti ad andare oltre questa contingenza c'è da riflettere sull'oltre metaforico che questa storia racconta. Il critico inglese David Hughes ha notato come l'auto si accanisca su dei veri e propri ideali sociali, l'innocenza e la gioia (i due ciclisti  innamorati all'inizio del film), la legge e l'ordine (lo sceriffo e i suoi attendenti), l'arte (il musicista); inoltre l'auto ad un certo punto si trova impossibilitata a sterminare una piccola comunità di alunni ed insegnanti che si sono rifugiati in un cimitero dopo le prove di una parata musicale. Il terreno consacrato stoppa le potenzialità omicide della Lincoln, il Bene (Dio) argina il Male, conferendo seduta stante un'aurea maligna e diabolica a quella nemesi nera. - SPOILER: il finale del resto va esattamente in quella direzione, poiché non solo lungo tutto il film abbiamo avuto modo di vedere come la macchina si rigeneri anche davanti a incidenti e distruzione, ma nell'esplosione finale la fiammata che si leva dall'auto delinea i contorni del diavolo in persona. Ed infine, sui titoli di coda ritroviamo la Lincoln (appena distrutta) che marcia fieramente tra le strade di una città, come a dire che quanto si è compiuto tra le montagne del Nuovo Messico era solo il primo capitolo di una storia.

Quattro furono i veicoli utilizzati nel film, tutti e quattro distrutti a fine riprese. Per altro il tetto dell'abitacolo è insolitamente basso, il che suggerisce quasi l'impossibilità che vi sia un guidatore dentro, il che alimenta a sua volta il senso di paura e l'alone sinistro derivante da un'auto che di fatto non può essere guidata. La pellicola subì aspre critiche per la sua recitazione affettata, per l'atmosfera generale da parodia involontaria o inconsapevole, e per gli effetti speciali abbastanza poveri e sommari. Tutte critiche condivisibile ma ciò nonostante e forse anche per questa ingenuità di fondo, La Macchina Nera ha una sua forza interiore che va oltre, il significante tracima fuori dal significato, la messa in scena ha una sua primitiva forza naif che investe lo spettatore e toglie ogni certezza. La Macchina Nera ha qualcosa di potente e di inspiegabile che lo rende un film meno "sciocco" di quanto sembrerebbe ad una prima visione. Comunque sia quest'opera di Elliot Silverstein si è guadagnata un posto nella lista dei "peggiori 100 film piacevoli mai girati", e nel tempo è entrata di prepotenza nell'immaginario e nella cultura americana guadagnandosi decine di citazioni in altri film, serie, cartoni animati e canzoni. Anton LaVey, fondatore della Chiesa di Satana risulta tra i consulenti (sebbene non accreditati) del film.

Trailer ufficiale

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