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W. è il terzo capitolo della trilogia presidenziale di Oliver Stone, che ha già riguardato Kennedy e Nixon. Il film è stato ostacolato come fosse la peste bubbonica. In America è uscito nelle sale ad ottobre, in Italia ci sono state "difficoltà distributive". Doveva partecipare al Festival del Cinema di Roma ... doveva ... non si è visto. Si narra di malumori ad Arcore, data l'amicizia fraterna con l'ex Presidente USA. La 26° edizione del Festival di Torino è stata invece coraggiosamente aperta da W., dopodiché il film ha avuto un percorso spinoso per raggiungere le sale italiane. Appena poche copie intorno al 9 gennaio (dove?...chi?....quando?...chi l'ha visto?) e finalmente anche La 7 in tv consente al pubblico di mettere gli occhi sulla fatica di Stone, un regista che merita sempre attenzione. Il film è risultato sgradito agli amici dei neocon poiché George W. Bush non ne esce benissimo e del resto era prevedibile. Una sorta di bamboccione texano, ubriacone, ottuso e sborone, un burattino agitato a piacimento dal padre prima e dalla sua amministrazione poi, Dick Chaney (Richard Dreyfuss) su tutti.

La biografia del Presidente è segnata da un costante senso di inferiorità verso Jeb, il Bush junior preferito in famiglia. George perde lavori dopo lavori, incapace di dimostrarsi una persona matura ed equilibrata, lascia disastri, bottiglie vuote e donne incinta dietro di sé. Guai che il padre è costretto a sistemare. Toccante il rapporto amoroso con una dolcissima Laura Bush, tanto materna quanto poco grintosa. Approdato alla ribalta politica per puro senso di rivalsa verso il padre ed il fratello (e con un passato imprenditoriale dipinto come poco trasparente), Bush si rivela totalmente inadeguato a gestire gli americani ed il mondo, anche se Stone non gli nega una innata capacità di far presa sul cuore della gente, parlando un linguaggio semplice, diretto ed accorato.

Le vicende narrate si concentrano temporalmente sulle decisioni che portarono a decretare l'avvio della seconda Guerra nel Golfo, il tutto inframezzato da flashback illuminanti sulla costruzione, mattone dopo mattone, della (non) personalità di Bush. Una psicologia debole. C'è chi ha detto che paradossalmente il film tende a favorire un'identificazione simpatetica con W., poiché, riconosciuta la sua inettitudine, non si può che comprendere la sua inadeguatezza e conseguentemente "scusare" i suoi errori. Stone mantiene una certa tendenza ad accentuare il macchiettismo dei personaggi, ma il problema rimane quello di Alexander, dover concentrare in una manciata di ore un'epopea infinita di avvenimenti e sottotrame politiche, tali da costringere il regista a standardizzare i caratteri e rendere paradigmatici ed esemplificativi i personaggi di cui si serve. Ecco che abbiamo, ad esempio, un Colin Powell "buono" di contro ad un Dick Chaney "mefistofelico". Rispetto ad Alexander però, si rivela molto più convincente la scelta del protagonista, che in questo caso vede un divertente e talentuoso Josh Brolin incarnare il Presidente gigione.

Interessante pure la sezione riguardante "rinascita" cristiana di W., anch'essa ambiguamente sospesa tra reale devozione e convenienza politico-elettorale, favorita dal reverendo Hudd, figura sfuggente e pericolosa, che incarna perfettamente quel senso di religiosità fanatica e semplicistica dell'America del sud, capace di indire una crociata nucleare per una bistecca di manzo e patatine fritte. W. è gradevole, si lascia vedere, a suo modo avvincente, denso, colmo, ricco e strapieno di stimoli e appigli per sviluppare riflessioni, è certamente partigiano ma non troppo. Non è esente da difetti, come non lo è nessun film di Stone ma è, al solito, sincero e appassionato. E' sempre un piacere, caro Oliver.

Trailer ufficiale

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