Giunge da parte di Roger Fratter il terzo capitolo di una ideale trilogia iniziata nel '97 con Sete Da Vampira e proseguita 20 anni dopo, nel 2017, con il cortometraggio Fame Da Vampira (Female Vampire Ridens); non so dire se si tratti di quello conclusivo - e verrebbe da sperare di no visto il livello complessivo della saga vampirica di Fratter - ma in ogni caso è un eccellente modo di proseguire l'esplorazione dell'universo femminile e vampirico (rispettivamente ascrivibili ai due generi di riferimento del film, l'erotismo e l'horror), continuamente sovrapposti lungo gli 87 minuti. Soprattutto nella prima parte della storia, quella preparatoria, propedeutica al dipanarsi degli eventi veri e propri, vengono usati diversi registri visivi; con la "scusa" di filmini amatoriali che i personaggi esaminano, nonché per via della rappresentazione onirica di una dimensione parallela e soprannaturale che li circonda, e di flashback che danno ulteriore contesto alla vicenda, Fratter ricorre a immagini variegate, colore, bianco e nero, split screen, luci esterne naturali accecanti, quasi bruciate, ed interni ricchi di penombre e chiaroscuri, al livello del vecchio e glorioso cinema espressionista tedesco. Questo continuo fraseggio di differenti densità materiche dell'immagine dona molto dinamismo al racconto e contribuisce a creare nello spettatore un senso di precarietà, di incertezza, di tensione, a suo modo persino di minaccia. Al contempo Fratter incastona qua e là dei momenti visivamente assai suggestivi, mi riferisco ad esempio al grandioso fotogramma dei titoli di testa, una sorta di cattedrale naturale fatta di alberi nella quale si avventura Daniela Picciolo, tagliata da una luce meravigliosa. Oppure ai quei momenti "semplici", come dei gatti che si rotolano amorevolmente per terra o al dettaglio di foglie autunnali di un giallo particolarmente intenso. In alternanza a questi spot di luce e serenità si contrappone il tono estremamente lugubre, gotico e macabro della storia, anch'esso perfettamente rappresentato in passaggi visivi del tutto adeguati e filologicamente corretti. Si prenda ad esempio la processione silenziosa di Francesca Cavallo con il candelabro attraverso corridoi bui, qualcosa di veramente affascinante e sinistro, per non parlare delle sue molte interazioni solitarie nella vegetazione all'imbrunire. E' facile insomma intuire quando VIS sia un film concettualmente di atmosfera, nel quale il significante conti quanto e forse più del significato, ciò nondimeno la sceneggiatura ha tematiche forti ed esplicite che sarebbe ingiusto trascurare.
Avendo a che fare con l'impalpabile, con il soprannaturale, con il controllo delle menti, con la telepatia, diventa di fondamentale importanza il registro recitativo degli attori, giocoforza costretti ad interiorizzare e donare quindi una dimensione più intima alla propria recitazione. La Picciolo, la Cavallo e Fratter in particolar modo (ma in realtà tutto il cast a vari livelli di gradazione) hanno dovuto restituire allo spettatore le emozioni e le pulsioni interne dei propri personaggi, lavoro affatto facile ma direi riuscito, mediante una recitazione poco appariscente ed estetizzante, eppure sempre intensa. La Picciolo non è nuova alla MdP di Fratter, mentre la Cavallo è una piacevolissima scoperta, il suo ruolo di regina madre delle vampire le calza a pennello, magnetica, tenebrosa ma anche sensuale, come richiesto dalla parte. Femmine Carnivore ('70), Vampyros Lesobs ('71), Vampyres ('75) possono sicuramente essere tra i riferimenti di Fratter per il concepimento di questo film, insieme a chissà quanti altri del periodo, ed è certamente da lì che deriva l'attenzione al connubio tra femminile e predominio; le donne sono soggetti di una ideale sorellanza che esercita una supremazia e che ricorre agli uomini come cibo ed eventualmente come oggetto di mero divertimento sessuale (benché la vera natura delle vampire appaia prevalentemente lesbica), sostanzialmente un mezzo per giungere ad un fine, l'affermazione del femminile come entità ariana e superiore. Qualcosa di fisiologico, antropologico, perentorio ed immutabile. In tal senso Fratter prosegue sulla falsariga della sua intera filmografia, assegnando alle donne un ruolo centrale e di totale aristocrazia rispetto agli uomini (vengono persino definite creature "soprannaturali"), insomma il sesso forte sono loro e su questo non c'è discussione.
A proposito di sesso, ce n'è molto in VIS, così come il gore, con momenti financo di cannibalismo esplicito. Le scene erotiche tradiscono sempre un'eleganza formale che per ovvi motivi quelle splatter invece rifuggono, creando anche in questo caso un gioco di contrasti efficace, come del resto già accadeva con le precedenti vampire di Fratter, basti pensare al sinuoso corpo di Mery Rubes interamente lordo di sangue in Fame Da Vampira. Divertente in tal senso il parallelo tra le interiora che addenta la vampira Reiko Nagoshi (anche responsabile degli effetti speciali del film) e la brioche di marmellata ai frutti di bosco che intanto la Picciolo manda giù a fatica, non rendendosi conto in modo del tutto consapevole dell'analogia blasfema. Fratter infila molti argomenti nella sua storia, c'è il tema del doppelgänger (il doppio), pure quello molto "espressionista", e quello del dark web, un pozzo senza fondo, oscuro e malmostoso, dentro il quale vengono svolte ricerche ed indagini relativamente alle vampire e alle sparizioni delle loro vittime. Allegoricamente il dark web stesso è a sua volta un doppelgänger in negativo della realtà nella quale sono immersi i personaggi, come una diapositiva; è un flusso ininterrotto nel quale scorre l'inconscio umano. Il dark web come specchio diretto dell'inconscio, a tal punto che Yvonne Tironi, collaboratrice di Radlof, il personaggio di Fratter nel film, si imbatte in un filmato che lo ritrae con la vampira Reiko, in una sorta di dimensione parallela dove i ruoli appaiono diabolicamente rovesciati. Yvonne osserva incredula ed inorridita quel frammento video, come se avesse appena scrutato nell'anfratto più remoto della coscienza di Radlof.
Va spesa una parola anche sulle musiche, mai così centrate, e sull'ottimo montaggio, che ad esempio si evidenzia plasticamente quando Fratter viene catturato assieme alla Picciolo dalla vampira Francesca Cavallo. I due passano una sorta di confine liminare e Fratter si risveglia riverso a terra in una stanza angusta e soprattutto priva di colore. Una frattura netta, un passaggio radicale che fa schizzare l'angoscia ed il senso di inquietudine in chi guarda. Dalla vegetazione e dai mille cromatismi, Radlof si ritrova di colpo ingabbiato in un buco nero, una prigione dalla quale non può fuggire perché viene immediatamente assediato dai poteri medianici della vampira (che nel film non ha nome). L'uomo ne è completamente in balia e solo grazie all'intercessione della sua compagna Shelley (Picciolo) riesce in qualche maniera ad uscirne, unendosi addirittura orgiasticamente con la vampira. - SPOILER: Questo contatto ravvicinato provoca una catarsi, una epifania che inverte l'ordine delle cose e rivoluziona le gerarchie di potere, al punto tale che Radlof e Shelley si ritrovano in cima alla piramide, con tutti gli strumenti di dominazione ora al proprio servizio, i feticci (la testa di uomo malvagio, la statuetta della donna deforme e la testa di drago), la mente di Shelley - puro potere in quanto femminile nonché particolarmente predisposta - ed il sesso, motore di ogni cosa, principio di seduzione e sottomissione. Proprio l'abbandono alle proprie pulsioni (testimoniato dall'ebrezza, dalle risate isteriche dei due e da una libido incontenibile) ha in qualche modo liberato ed elevato a potenza la coppia che ora sembra aver scavalcato la vampira, come iniziata ad un altro e ben più profondo livello di esistenza.