Une Vieille Maîtresse

Une Vieille Maîtresse
Une Vieille Maîtresse

Catherine Breillat è uno di quei nomi che fa un po' paura quando ci si siede davanti ad uno schermo bianco, pochi minuti prima della proiezione. Alla registra-scrittrice francese farebbe probabilmente piacere che io scrivessi che è così perché il suo cinema è di rottura, trasgressivo, provocatorio, induce alla riflessione e alla messa in discussione dello status quo. Forse, in qualche misura, anche. Ma in realtà il senso autentico della mia affermazione è che quel nome evoca nello spettatore la consapevolezza di dover assumere uno sciroppo amarognolo, una mappazza un po' indigesta, di complicata gestione, certamente pretenziosa e velleitaria, magari anche illuminata, ma che difficilmente renderà lieta e corroborante la visione. Attrice in Ultimo Tango A Parigi (il suo profetico battesimo nel mondo del cinema), sceneggiatrice per oltre una dozzina di pellicole, regista, fra le altre, di robe toste come L'Adolescente, Romance, Pornocrazia (queste ultime due, come è noto, con Rocco Siffredi a dare una botta radical chic all'erotismo riottoso della Breillat); Une Vieille Maîtresse è il primo film diretto dopo l'emorragia cerebrale subita nel 2004, che le ha causato la paralisi del lato sinistro del corpo e per la quale si è sottoposta ad una faticosa riabilitazione. Se il suo cinema è già normalmente "sofferente" di suo, questa volta lo era a tutto tondo, dalla sceneggiatura alla macchina da presa. Adattato dall'omonimo romanzo del 1851 di Jules-Amédée Barbey d'Aurevilly, e presentato a Cannes non senza il consueto strascico di polemiche (ma anche con diversi apprezzamenti), il film vede protagonista Asia Argento, che con la visione umana e dei conflitti di genere della Breillat va a nozze, come dire il cacio sui maccheroni. Ed infatti l'autrice transalpina ha speso parole di grande elogio per Asia, ritenendola una specie di incrocio tra Ava Garnder, Rita Haywoorth e Marlene Dietrich, una femme fatale che emana una naturale sessualità ma che, allo stesso tempo, è obliqua, imprevedibile e irresistibile. L'ha trattata come una vera e propria musa e quasi le ha costruito il film intorno.

Nel 1835 il giovane libertino Ryno de Marigny (Fu'ad Aït Aattou) sta per convogliare a nozze con l'altrettanto giovane ma assai più candida Hermangarde (Roxane Mesquida). Le malelingue però inseguono Ryno e cercano di sabotare lo sposalizio. Così la nonna di Hermengarde, la marchesa de Flers (Claude Sarraute), chiede conto a Ryno dei pettegolezzi, nel corso di una lunga nottata rischiarata dai tepori di un caminetto. Ryno acconsente a confessare la propria relazione con una donna spagnola di nome Vellini (Asia Argento), una burrascosa storia d'amore durata 10 anni, mai formalizzata (anche perché inizialmente la donna era sposata e Ryno è dovuto addirittura arrivare a sfidare a duello mortale l'anziano consorte dell'amata), e che il ragazzo giura sia appena terminata per suo stesso irremovibile volere, essendo sinceramente innamorato di Hermangarde. Convinta dalla trasparente passione di Ryno, la marchesa de Flers acconsente definitivamente alle nozze, che si compiono poco dopo. I due sposini si trasferiscono da Parigi alla provincia, in un castello a picco sul mare, per evitare ogni possibile tentazione. - SPOILER: La Vellini però non si dà per vinta, e benché Ryno abbia effettivamente interrotto la relazione, tra i due è rimasto un sottinteso, un inconfessato legame che riesplode al solo rivedersi. Vellini si insedia in una casa non distante dal castello e Ryno riprende a visitarla e a godere dei suoi favori. Hermengarde, nel frattempo rimasta incinta, lo segue e scopre che l'antica compagna è stata tutt'altro che dimenticata. L'amore per la Vellini condanna inesorabilmente Ryno a riprendere le vecchie abitudini, come uno schiavo d'amore incapace di ribellarsi ad un destino che lo incatena.

Une Vieille Maîtresse è un film forte, fatto di tematiche forti ed immagini che non la mandano a dire, una sorta di Le Relazioni Pericolose che spinge vistosamente sul pedale dell'acceleratore. La sessualità, tema caro alla Breillat, è naturalmente assai presente ed esplicitamente rappresentata. Asia, dal fisico qui particolarmente asciutto e dal seno esplosivo, ha molte scene di nudo nelle quali simula l'amplesso con Aattou. La battaglia dei sessi infuria a tutti i livelli, non solo tra l'uomo e la donna (quelle tra Ryno e la Vellini sono vere e proprie schermaglie, anche violente) ma anche tra donna e donna, poiché la Breillat mette in scena vari tipi femminili. La sua preferita è evidentemente la Vellini, donna emancipata, volitiva, tenace, indomabile, orgogliosa, anticonformista. Fuma il sigaro, odia l'eccessivo sfoggio di femminilità, si comporta come il maschio dominante in amore; poi c'è Hermengarde, la nemesi esatta di Vellini, docile, dolce, innocente, remissiva, silenziosa. La dicotomia tra le due donne si esprime plasticamente anche nella loro fisicità, formosa e corvina la Vellini (ad una festa in maschera si traveste persino da diavolessa), efebica e bionda Hermengarde. Poi ancora c'è la contessa d'Artelles (Yolande Moreau), confidente della marchesa de Flers, pettegola, invidiosa, velenosa. Infine c'è la marchesa, anziana, saggia, fatalista e lontana dai facili moralismi. Attorno a tutte queste donne ruota il solo Ryno de Marigny, impersonificato dall'avvenente Fu'ad Aït Aattou (una bellezza nella quale il film si crogiola sin troppo), debole e tuttavia coccolato enormemente dalla Breillat. Ryno compie solo errori su errori, ma la verità dei suoi sentimenti (l'amore per Hermengarde e la passione per la Vellini) - nonché la fisicità da modello di passerella, datemi retta - sembrano dispensarlo da qualsiasi accusa. Gli è tutto concesso, l'amore giovane e dolce, l'amore maturo e tempestoso, la benevolente simpatia degli anziani.

Dove può la Breillat tira la corda e si tuffa negli estremismi, del resto è la cifra ricorrente del suo cinema. Alcune scene sono al limite del ridicolo. Ad esempio quando, mentre su di una pira brucia ancora il cadavere della figlioletta morta in seguito al morso di uno scorpione, Asia e Aattou consumano una disperato e rabbioso atto d'amore, all'insegna del trito e ritrito binomio eros/thanatos. Oppure quando, tanto per aggiungere qualcosa di peccaminoso, l'addolorata Vellini, rifiutata da Ryno, si lascia coccolare un po' troppo affettuosamente dalla sua cameriera bella, giovane e prosperosa (ma naturalmente l'anticonformismo di Vellini prevede anche l'amore diverso, c'è da immaginare). La trasgressione va un tanto al chilo, e Asia Argento ci sguazza agevolmente; quello è anche un po' il suo mondo (salvo poi chiedersi perché in Italia tutti continuino ad etichettarla riduttivamente come una ribelle trasgressiva amante del maledettismo perchessì). I suoi pianti e le sue pene d'amore sono sempre un po' sopra le righe, così come le sue espressioni di noia, irrequietezza e disappunto in ogni luogo, spazio e tempo, perché afflitta dal non poter possedere esclusivamente l'amato Ryno (si vede la comparsata lampo a teatro, durante l'opera). Il film insomma, e probabilmente l'opera letteraria da cui deriva (del resto Barbey d'Aurevilly veniva definito un po' sprezzantemente da Jules Lemaître una caricatura del byronismo) non è all'insegna dell'illuminismo strettamente logico e razionale, quanto del romanticismo, del nichilismo, dell'autodistruzione e del totale dominio dei sentimenti sulla ragione.

Fu'ad Aït Aattou è innegabilmente un ragazzo attraente, ma tolti i primi piani sui begli occhioni e le labbrone straccia-utero, la sua attorialità è tutto fuorché carismatica, interessante, intraprendente. I dialoghi sono fatti più da silenzi che da parole; Aattou se ne sta spesso fermo lì, in un angolino, a fare il tormentato, col sorrisetto improvviso a stemperare. Il che, ripeto, farà presa sul pubblico femminile (come del resto le tette della Argento su quello maschile), ma non dona una particolare dimensione di profondità al personaggio. Ed il fatto è che la Breillat sembra compiacersene. La coppia di pettegoli formata da Claude Serraute e Yolande Moreau (in scena complessivamente per un quarto d'ora su 110 minuti) basta ed avanza a seppellire i tre protagonisti. Pure la Mesquida è intrappolata nel personaggio di Cenerentola che non le dà modo di tirar fuori qualcosa di più dello sguardo da cerbiatta indifesa. Non si riesce a creare un legame empatico con nessuno dei personaggi, anche se la fotografia è sicuramente pregevole, così come la messa in scena in generale. Non esiste una edizione italiana del film, ma il dvd franzoso prevede almeno i sottotitoli in inglese.

Trailer ufficiale

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