Ogni tanto è buona regola fare un'incursione in campo nemico (la commedia in Italia, oggi), per testare a che punto siamo, quanto sia progredito il loro armamentario, possibilmente con un cucchiaino di zucchero ad addolcire la missione (in questi caso la Gerini). Bene, dopo aver visto Tutta Colpa Di Freud posso ahimé confermare che l'orizzonte rimane nero. Piuttosto sconcertante dover prendere atto come non ci si sia mossi di un millimetro, gli anni passano ma siamo sempre lì, al solito addomesticatissimo modo di fare "commedia all'italiana" (un'etichetta che in altri anni significava ben altro). L'inizio è sintomatico, tre personaggi si presentano al pubblico ognuno con voce narrante off, spiegando chi sono, cosa fanno e condendo il monologo con battutine ironiche ("ho una piccola libreria, avrei potuto vendere pollo arrosto, invece vendo libri, ma il pollo arrosto mi piace eh!"). Nemmeno la fatica di far comprendere agli spettatori cosa succede attraverso quello che vedono, c'è subito lo spiegone, a costo zero, almeno a nessuno viene il fiatone, ché i neuroni vanno in iper ventilazione a scandagliare tutto il film dall'inizio alla fine, da soli, senza aiutino da casa. Mentre accade questo, canzoncine solarissime si susseguono l'un l'altra, a creare un clima di gaiezza ostentata e pensiero positivo jovanottiano che in alcun modo di deve mettere a disagio chi sprofonda nelle poltroncine.
E veniamo ai personaggi: psicologo padre di famiglia, tre figlie, la 18enne irretita dai 50enni (quindi coetanei del padre), la libraia (praticamente il profilo dell'elettrice tipo di Tsipras), la lesbica. Poi c'è il cinquantenne di cui sopra che va con le ragazzine (Alessandro Gassman nel classico ruolo di Alessandro Gassman, quello del tizio entrato negli -anta, belloccio ma maschilista e superficiale). Le tre ragazze hanno problemi sentimentali e interpellano il padre/psicologo per avere delle soluzioni. Al contempo lui è attratto da una misteriosa donna con un cane (Claudia Gerini), che si scopre essere la moglie di Gassman. La trama si sviluppa e termina esattamente come doveva svilupparsi e terminare, nessuna sorpresa, nessuno sforzo vagamente creativo; tutto liscio liscio come l'olio, carino, romantico e rassicurante per contratto. L'Ammmore domina ogni fotogramma, disatteso o esaltato che sia, purché si parli di questioni di cuore. Affabile, garbato, perbenista, prevedibile, pavido, Tutta Colpa Di Freud è un film a impatto zero, non dice nulla, non lascia nulla e quindi non rischia di scontentare nessuno ...tranne chi voleva vedere un film da ricordare per almeno 5 minuti dopo che i titoli di coda sono scorsi. Come aver fame e ricevere un bicchiere d'acqua.
Lo psicologo è Marco Giallini, saggio e con la risposta autorevole sempre pronta (la sua categorizzazione del mondo maschile è roba che neanche la Aspesi sotto crack avrebbe saputo concepire in modo così manicheo e ruffianamente strappa-applausi al pubblico femminile); forse la sua peggior interpretazione ad oggi. Quindi abbiamo Anna Foglietta nella parte della lesbica, Vittoria Puccini in quella della libraia e Laura Adriani in quella della diciottenne gerontofila. La Foglietta, vista altrove (per esempio Mai Stati Uniti) mi era sembrata una discreta attrice, ma la sua Sara non si sopporta, caricaturale e iper cinetica, ha poi quello sgradevole sottotesto per cui l'orientamento sessuale è una questione di opinioni. Fondamentalmente omosessuale, si converte ideologicamente all'eterosessualità per colpa delle delusioni amorose patite, per poi alla fine pescare indistintamente di qua e di là, a seconda di quanto è figo/a il partner di turno. Come a dire che si, insomma, la sessualità è tutta una questione di concentrazione, saltare la barricata e un attimo, che ce vo', se un fiore è bello uno lo coglie. La Puccini, pure lei bravina, si aggiudica la palma di personaggio più odioso del film. Tuffata in una storia da libro Cuore, oltre ad avere la libreria di quartiere che fa tanto oasi di salvezza contro il capitalismo (arredamento retrò, non vende fuffa mainstream come 50 Sfumature Di Grigio ma solo grandi classici della letteratura), anziché affrontare un ladro che le ruba i libri (Vinicio Marchioni), ne rimane affascinata, lo segue, lo scopre sordomuto e se ne innamora. Tutto senza che ci sia un perché (effetto "Baci Perugina" a parte). Ok, passi che debba innamorarsi per forza di uno "diverso" (quando una è sensibile...è sensibile!) ma costruiamola questa storia d'amore, cribbio. Niente, i due si guardano ed è magnetismo animale al primo colpo, senza mai scambiarsi una parola, anzi proprio per quello (vuoi mettere l'intrigo!). Da quel momento in poi l'amore è in realtà già scoccato e lo spettatore attende solo che si formalizzi. Seguono finti litigi ed inseguimenti per dare l'idea della "difficoltà" della situazione, ma neanche per un minuto è possibile dubitare che la nave non vada in porto come previsto. Sgradevolissima la scena al ristorante in cui Giallini, senza farsi vedere (anzi sentire) da Marchioni, fa il quadretto dell'handicap, dipingendo i sordomuti come dei sospettosi, permalosi e nevrotici, e invitando la figlia ad accudirlo come una crocerossina (che in effetti è proprio la descrizione esatta dei due personaggi per come sono in sceneggiatura). Laura Adriani è la scioccherella 18enne, stupidamente invaghita dell'uomo bello e adulto, tanto da non vedere che è platealmente un beota, come invece qualsiasi spettatore comprende dopo 10 secondi. Anche se, tutto sommato, il personaggio di Emma è forse quello meno lontano dalla realtà, un'adolescente che si comporta da adolescente. Poi c'è la Gerini, con una moglie che ha poco da dire e da dare, al minimo sindacale porta la pagnotta a casa senza grossi sforzi.
Tanto per darvi maggior elementi, a un certo punto abbiamo la classica scena della colazione, alle 7 del mattino, con tutta la famiglia riunita attorno alla tavola imbandita, con latte, fette biscottate, marmellata e quant'altro di genuino vi possa venire in mente. Tutto come accade ad ognuno di noi durante una qualsiasi giornata lavorativa feriale, nevvero? E' lo schema Mulino Bianco, sorridenti, felici, possibilmente vestiti di bianco e con tanto tanto tempo a disposizione per scambiarsi chiacchiere e confidenze, nonostante il resto del mondo viva e velocità frenetiche. Poi fate caso agli appartamenti, fighissimi, soppalcati, arredati con design da rivista di arredamento, ricercati, pieni di personalità, tutti, nessuno escluso. Ci sono un paio di cameo buttai lì, pochi secondi riservati a Maurizio Mattioli (portinaio dello stabile di Giallini) e Gianmarco Tognazzi (uno dei tanti appuntamenti falliti della Foglietta). E poi c'è Daniele Liotti, belloccio ma ovviamente "stronzo", costitutivamente, in quanto maschio proprio; perché sei hai un handicap ok, allora sei dolce e carino, altrimenti sei stronzo, bugiardo e opportunista, e te ne scappi con la prima cugina che capita. Lapalissiano, lo diceva pure Freud no?