
Di Tulpa si sono dette cose "tulpi", un po' perché Zampaglione non è che strappi quel "conato" di simpatia diffusa, un po' perché il film oggettivamente ha dei limiti, che possono anche essere presi per licenze poetiche ma che, agli occhi del cinefilo spaccacapelli in quattro, rimangono deficit inaccettabili (mi riferisco ad esempio all'uso estremamente "personale" di campi, scavallamenti di campi e totali di scena, con personaggi che - senza muovere un passo - trasmigrano miracolosamente da una parte all'altra dello schermo con la sola forza del pensiero). Detto ciò, da profano quale mi reputo, non sono rimasto poi così deluso dalla visione di Tulpa, che non sarà il capolavoro definitivo del giallo horror, ma che la sua oretta e mezzo di relativo spasso tutto sommato la concede. Soprattutto gli appassionati di cinema di genere, abituati a pellicole improbabili, velleitarie e sconclusionate per quanto "cult", dovrebbero a parer mio riconoscere che Tulpa un suo minimo sindacale da offirire lo ha.
Zampaglione cita apertamente Argento; Tenebre è il film che più lo ha motivato a dirigere, Opera lo si ritrova nel primo omicidio (quello con la lama del coltello che trapassa la bocca), Suspiria per la tortura del filo spinato, Inferno nella fuga della Gerini inseguita dal trans con la katana (un labirintico incrocio di vicoli che rimanda all'antro che si cela nella biblioteca di Inferno). Tulpa è un omaggio appassionato al cinema giallo italiano, quello dei Sergio Martino, dei Luciano Ercoli, dei Fulci, dei Lenzi e ovviamente di Dario Argento. La Gerini in questa ottica diventa così la Edwige Fenech, la Susan Scott di turno che si fa carico sulle proprie spalle (sarebbe più corretto dire sulle proprie natiche) del peso del film, nella sua doppia natura gialla ed erotica. A tal proposito ha dichiarato di essere rimasta "sconvolta" dalla scene hot girate, osservata e ripresa dal marito mentre simulava amplessi lesbici e sesso a tre. Ora, in tutta onestà, per quanto la 42enne Gerini tutta nuda sia un bel vedere, di "sconvolgente" nelle scene erotiche di Tulpa c'è proprio pochino. Qualcuno (Il Corriere della Sera) si è spinto a definirlo addirittura l'Eyes Wide Shut di Zampaglione (per via delle maschere, del club privé a sfondo erotico e delle atmosfere morbose). A mio parere Tulpa delude fortemente sul versante erotico; promette molto di più di quello che poi mostra, anche se capisco che per la Gerini quel tipo di scene siano state sicuramente ardite rispetto alla media dei film che interpreta. Tremendi alcuni dialoghi (su tutti quelli "finanziari"), non mancano incongruenze di sceneggiatura e letteralmente ridicolo appare il personaggio di Kiran, il gran sacerdote del club Tulpa, che recita come una specie di santone perennemente in botta chimica e proferisce criptiche verità di una banalità - quella sì - sconvolgente.
Questi gli aspetti negativi; c'è anche del positivo però, chcché ne dicano i detrattori avvelenati. Le atmosfere sono intriganti, c'è una certa lentezza nel procedere della storia che mi è piaciuta, Zampaglione si prende i suoi tempi, non ha la foga di correre da una inquadratura all'altra. La componente prettamente thriller (per quanto evidentemente citazionista ed "ispirata a") non dispiace; il classico killer tutto nero e intabarrato dalla testa ai piedi - con guanti di pelle nera d'ordinanza - si vede sempre volentieri. Incomprensibile il ricorso a Michele Placido, un bel nome in cartellone, ma il suo personaggio nell'economia del film è talmente periferico che sarebbe potuto andar bene un qualsiasi caratterista minore. La Gerini si spende molto, questo le va riconosciuto, tuttavia durante la visione non riuscivo a liberarmi dell'effetto "famolo strano"; mi pareva che in ogni momento la bella Claudia si potesse girare verso lo spettatore proferendo la fatidica frase. Limite mio, per carità, non lo nego. Nemmeno la risoluzione del mistero è brillantissima, l'identità dell'assassino, oltre che affatto insospettabile, non denota una spremitura troppo prolungata di meningi in fase di scrittura del plot. C'è poi quella sottotrama che ad un certo punto si innesta e che dà sul soprannaturale, con i poteri extrasensoriali che Kiran eserciterebbe sul Tulpa (che oltre che al nome del club, sta ad intendere anche l'estrinsecazione di entità malvagie da sé, una sorta di demone che i monaci tibetani sono in grado di creare espungendo il male dalla propria anima e scatenandolo però sul mondo reale). Questo spunto Zampaglione ce lo fa annusare ma poi lo abbandona su un binario morto, salvo rispolverarlo nel momento cruciale del film, quando il killer deve essere abbattuto in un modo o nell'altro. Così non vale.
In definitiva, una visione Tulpa se la può anche meritare, non sono di quelli che si diverte a disintegrarlo perchessì. Zampaglione a mio parere deve curare maggiormente le sceneggiature, renderle un po' più polpose, verticali, perché qui al di là della cura maniacale riservata all'efferatezza degli omicidi - fatti apposta per scioccare - non rimane molto altro. Il tentativo è comunque lodevole, il voler riesumare le forme e le situazioni del giallo all'italiana, con le sue componenti nere (horror) e rosse (erotiche), è senz'altro da vedere con favore, fosse anche solo per la solitudine del proposito di Zampaglione (anche se in questo i Manetti Bros, per esempio, hanno realizzato forse di meglio). Un lavoro riuscito a metà, e sinceramente è un bicchiero mezzo pieno, perché di lavori riusciti neanche per un 1/3 se ne vedono a bizzeffe.