Nel frullatore dei reboot era inevitabile che finisse anche Lara Croft, omaggiata di un paio di film tra il 2001 ed il 2003 con protagonista la magnetica Angelina Jolie, che all'epoca sembrò una scelta piuttosto azzeccata per vestire i panni - ma soprattutto il sex appeal - dell'eroina tutta poligoni nata videoludicamente nel lontano 1996, rivoluzionando non poco il mondo dei videogiochi. A Hollywood, come in macelleria, non si butta via niente e allora ecco ripartire un nuovo progetto Tomb Raider al traino del reboot del videogame, ad opera della Crystal Dynamics nel 2013. Per la cronaca, i "nuovi" Tomb Raider sono già due e ad ottobre di quest'anno uscirà il terzo capitolo, per la gioia di tutti i gamer.
Il canovaccio della storia da consolle diventa la linea guida della sceneggiatura del film diretto da Roar Uthag. L'impostazione rispetto ai vecchi film però cambia radicalmente. Via il glamour, via l'aspetto ironico e sexy, via la stereotipizzazione iconica, fantastica e un po' supereroistica; la nuova chiave di lettura snellisce parecchio. Il target si fa assai più giovanilistico, l'avventura più concreta e realistica (sempre nei limiti che un prodotto come Tomb Raider consente). Alicia Vikander è la nuova Lara Croft, tutt'altro physique du role rispetto alla Jolie (anche se entrambe intorno alla trentina quando hanno girato i rispettivi film). Molto semplice, acqua e sapone, vestita come una qualunque ragazza urban, espressioni quasi sempre a canino bastonato, fisicità minuta e forme lontane anni luce dalle proporzioni non solo della conturbante Jolie, ma della Croft stessa, per come ci hanno abituato ad immaginarla negli anni. L'idea era smettere di puntare sulla sensualità e dare spazio ad una maggiore "contemporaneità" (qualsiasi cosa ciò volesse significare).
I primi venti minuti circa sono infatti il prologo della storia personale di Lara, un po' fiacchi per la verità; sembra di trovarsi al conspetto di una storia di teenager di città, sospesi tra problemi familiari e in attesa di qualche cottarella sentimentale. Poi si svolta e gli sceneggiatori si ricordano di aver ricevuto la commissione di scrivere Tomb Raider e non Save The Last Dance. Lara si dedica anima e corpo alla ricerca del padre scomparso, dato per morto da tutti. Attraverso i suoi appunti di lavoro, viaggia fino in Giappone, alla ricerca delle spoglie della misteriosa strega Himiko, portatrice di ogni male e pestilenza. SPOILER: troverà suo padre, ancora vivo, troverà Himiko e troverà la Trinità, una organizzazione occulta (modello Spectre) dedita naturalmente alla dominazione del mondo mediante ogni mezzo, lecito e non, soprannaturale e oltre.
Senza ombra di dubbio la pellicola migliora non appena le atmosfere esotico-avventurose prendono il sopravvento, anche se l'approccio destrutturante rimane lì a permeare tutto il film. Uthaug è convinto di aver creato qualcosa di estremamente "drammatico" e "vero", ma in tutta onestà il dramma non arriva. I dialoghi tra Lara ed il padre (Dominic West) barcollano spesso sul ciglio del patetico e del ridicolo involontario (con quella mossetta del bacino sulla fronte ripetuta in modo urticante). il problema non è il realismo, ma la rinuncia ideologica che si avverte verso la mitizzazione eroica di Lara. E' talmente marcata da rendere il tutto fin troppo banale e lineare, non tanto per gli eventi in sé ma per come sono narrati e rappresentati. Unico guizzo di adrenalina, la "nuotata" di Lara nelle rapide con cascata e conseguente parentesi nella carcassa di un aereo della seconda guerra mondiale. Magari però non guardate poi tra gli extra il making of di quella scena... perché è talmente zeppa e impestata di CG da far perdere immediatamente la magia di averla vista un secondo prima.
La Vikander ha sempre quell'aria dolente e ammaccata, suo padre pare un pazzo esaltato, il villain è un piccolo burocrate al servizio della Trinità ed è impersonato da Walton Goggins, che sembra sempre di più la controfigura di Jack Nicholson. Non dico che il film sia bruttissimo, si può guardare, ma non lascia gli episodi con la Jolie al palo, non c'è un salto qualitativo abissale (come invece accaduto per i videogiochi). C'è un'atmosfera molto diversa, quello si, è del tutto evidente, ma non necessariamente più accattivante. C'è anche la paura di essere troppo glamour, troppo "eccessivi" e quindi tutto è calmierato, normalizzato, in qualche misura reso sterile e un po' piatto. In America il botteghino non ha voluto bene a questa operazione; è andata meglio in Europa. Ci saranno dei sequel? Chi vivrà, vedrà.