The Women

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The Women

Nel 1939 George Cukor (detto "il regista delle donne") gira una storia chiamata semplicemente Donne (The Women), assemblando un cast per l'epoca eccezionale ed espungendo qualsiasi figura maschile da tutto il film, solo donne (che parlano di uomini). Il film si basava sull'omonima commedia teatrale di Clare Boothe Luce del 1936. Nel '56 David Miller dirige il musical Sesso Debole? che è chiaramente un riadattamento della pellicola di Cukor. Verso la metà degli anni '90 inizia a circolare l'idea di un nuovo remake, sono interessate Meg Ryan e Julia Roberts, sono tuttavia interessate anche allo stesso ruolo, quello della protagonista, motivo per il quale il progetto lì per lì non decolla. Dopo un po' di avvicendamenti in cabina di regia, sceneggiatura e produzione, e dopo una discreta fiumana di attrici che manifestano l'intenzione di far parte del cast (Sandra Bullock, Ashley Judd, Uma Thurman, Whitney Houston, Queen Latifah, etc), il film si concretizza allorquando il successo della serie tv Sex And The City convince la Warner Bros che un nuovo The Women potrebbe avere un buon riscontro al botteghino. Ed infatti la falsariga è esattamente quella, una sorta di puntata ad alto budget dello show con Sarah Jessica Parker e compagne di shopping.

Intendiamoci, la sceneggiatura segue abbastanza fedelmente quanto già prodotto da Cukor negli anni '30, ma il punto è proprio quello. Il taglio dei personaggi, quel tipo di femminilità e situazioni, i dialoghi, certe scelte innovative per l'epoca (meno per l'alba dei 2000, mai un uomo in 114 minuti, fatto salvo un neonato, l'unico appartenente al genere maschile tollerato dalle donne, ovvero il maschio prima che si rovini....), risultavano magari appropriate in una commedia teatrale del '36 ed in un film di Hollywood del '39, decisamente fuori tempo massimo nel 2008. Siamo dentro un altro millennio e praticamente ogni donna del film è una specie di stereotipo a tema che lo spettatore ha chiaro sin dal primo fotogramma dove andrà a parare. Meg Ryan è la donna perfetta, si è solo un po' persa per strada, ma che sia il non plus ultra del talento, della determinazione, della forza creatrice, che sia intelligente e piena di risorse, è ovvio e acclarato sin da subito. Non a caso genera una figlia (India Ennenga) che ne è l'esatto specchio adolescenziale, anche se parla come una donna adulta e consumata. Annette Benning è la senior che si è altrettanto un po' persa per strada (non a caso sono migliori amiche) ma pure lei al momento della svolta - perché il film prevede una svolta per ciascuna - tirerà fuori tutti i segni più della propria personalità. Debra Messing è un'incubatrice dedita esclusivamente ad evidenziare le parentesi comiche della sceneggiatura. Jada Pinkett Smith ha il personaggio più inconsistente, tant'è che c'è all'inizio ed alla fine del film, ma nel mezzo scompare. Ha un'unica caratterizzazione, è la lesbica della situazione ed ogni sua battuta verte su quello. Stop. Ad arricchire il cast, già corposo, arrivano altre donne di peso, come Carrie Fisher, Bette Midler, Candice Bergen, poco più che cameo di prestigio; ma soprattutto Eva Mendes, l'antagonista della Ryan, poiché le contende il marito. Biondina, borghese, un po' orsacchiotta la Ryan (finché non si trasforma in vamp), latina, carnale e un po' meschina la Mendes (finché non si trasforma in cretinetti).

Donne che si fanno la guerra, donne che biasimano uomini ma con lo stesso approccio della volpe che biasima l'uva. Donne che comprano borse e scarpe Prada, vanno dalla manicure, dal coiffeur, ai vernissage, hanno la governante e dirigono gruppi di lavoro formati solo da donne (che comprano borse e scarpe Prada, vanno dalla manicure, dal coiffeur, etc). Un girotondo, un cane che si morde la coda, che si parla addosso e non alza lo sguardo oltre il proprio ombelico. Se The Women intendeva essere un film dalla parte delle donne, teso ad esaltarne i pregi e le qualità, a far empatizzare con le gioie ed i dolori muliebri, e a farne comprendere la complessità, beh il risultato è esattamente opposto, un'impennata inarrestabile di misoginia. Le attrici ci mettono del loro, rendendo quasi insopportabili i rispettivi personaggi. Meg Ryan è un incessante catalogo di mosse, mossette, faccine, sguardi, ammiccamenti, boccucce (per quello che il botulino oramai le consente), stupori artefatti e telefonati. La Benning pare una scemina con 15 anni di più (ma in realtà sono praticamente coetanee), tronfia e arrogante. La Messing pare una scemina e basta. La Pinkett Smith è monodimensionale, incardinata unicamente nella sua identità di genere. La scena della lingerie war in cui la Mendes e la Ryan si contrappongono a colpi di corpetti di pizzo e guepierre è quasi patetica. Ovviamente tutto è bene quel che finisce bene e tutti i cocci dei vasi rotti si risistemano. Devo dire che il finale del film, la scena in sala parto per l'ennesima gravidanza della Messing, è davvero divertente, il momento più vivo e pungente del film (l'unico), e fa ancora più rabbia perché viene da pensare che evidentemente una sceneggiatura migliore era nelle corde della English e nel mestiere delle attrici coinvolte, ma purtroppo si tratta solo degli ultimi 10 minuti scarsi di pellicola. Dopo i titoli di coda, le quattro protagoniste dicono la loro sull'esser donna e la Ryan afferma che "la bellezza sta nell'autenticità". Ora, considerando il dissesto chirurgico che la tenera ex fidanzatina d'America si è procurata negli anni, fa veramente specie che nessuno si sia sentito in dovere di tagliare una simile plateale ipocrisia.

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