Amo Scorsese, beh tutti dicono di apprezzarlo ed amarlo, ma c'è stato anche un periodo in cui andava di moda sminuirlo (capita a tutti i registi con la R maiuscola, è una specie di passaggio di crescita dei cinefili e critici con aspirazioni, ad un certo punto il parricidio è un atto obbligato per emanciparsi, un rito di iniziazione). E così, quando "Gangs Of New York non è questo granché, Scorsese ha fatto di meglio", io ero lì, gongolante, per un film di grandissimo respiro ed abbacinante bellezza. E quando "Casinò è splendido... ma quanta violenza gratuita!", ero sempre lì, a cercare di rintuzzare le critiche (motivate) di eccessiva brutalità, a fronte di uno spettacolo visivo magnifico. Soprattutto con Hugo Cabret Scorsese ha ripreso il volo, il flirt con la critica ed il pubblico si è riallacciato forte ed intenso (The Departed e Shutter Island hanno ricevuto pareri contrastanti). The Wolf Of Wall Street - basato sull'autobiografia di Jordan Belfort - ha quasi sfiorato l'Oscar, e con il film il sempiterno nominato Leonardo DiCaprio (che poi finalmente lo agguanterà con Revenant). Ascesa e caduta del più grande lupo di Wall Street, senza redenzione. La pellicola non indica un percorso espiativo, sofferto ma catartico, niente affatto; Scorsese non cerca soluzioni, ma inscena la grottesca, surreale e bizzarra esistenza di un predatore in un mondo agnellini. Il tempio è Wall Street, come per Gordon Gekko (citato pure nel film), ma è l'intero mondo ad essere di proprietà di Belfort, o almeno così lui intende.
Lo vediamo muovere i primi passi al traino di broker senza scrupoli, per poi divenire egli stesso broker, magnate della finanza ed infine criminale incallito, con tutto gli inevitabili annessi e connessi di droga, donnine, potere, yacht ed ostentazioni gratuite. La gratuità è un po' la cifra di tutto il film. Ben 180 minuti (ma in origine erano 240), senza che ci siano 180 minuti di sceneggiatura effettiva; ad un certo punto si ha l'impressione di essere rimbalzati come una pallina da flipper tra situazioni identiche. I personaggi si drogano, poi fanno sesso, poi si drogano, poi fanno sesso, e poi si drogano. Mentre il montaggio si fa serrato, le musiche ammiccanti incalzano, DiCaprio gigioneggia, e qualche bella figliola ci mostra la mercanzia, ci addentriamo nel mondo effimero, inconsistente, eppure milionario, di Belfort, dove tutto è possibile, a patto di camminare sui cadaveri. DiCaprio è un mattatore, sproloquia continuamente, è ironico, beffardo, sarcastico, cinico, violento, fa battute, si rivolge direttamente allo spettatore, se ne frega di tutto e di tutti. Saltiamo da un parossismo all'altro, copule immersi nel denaro (alla maniera del Diabolik di Mario Bava e di Proposta Indecente), nani lanciati come freccette su bersagli giganti, deretani che fungono da piano d'appoggio per pippare coca, segretarie che si fanno rasare per 10.000 dollari (che poi impiegheranno per passare da una terza ad una quarta abbondante), camerieri gay che approfittano dell'assenza dei padroni per organizzare immense orge, aragoste lanciate ad agenti dell'FBI, e soprattutto droga, droga, droga, di ogni risma e tipo, in quantità industriale.
E' l'eccesso la legge di Belfort e della sua Wall Street. In Italia Gramellini si è lamentato che la colpa di Scorsese è di far empatizzare la gente con un personaggio mostruosamente negativo come Belfort, tutto sommato un vincente, simpatico, stronzo ma che ne cava sempre le gambe. Se dovessimo adottare questo metodo dovremmo gettare nel cassonetto Shining ed il suo Jack Torrance, Full Metal Jacket ed il suo Sergente Hartmann, Arancia Meccanica ed il suo Alex DeLarge, etc. (si, l'ho notato, ho citato sempre e solo Kubrick, ma è il più grande, no?). Non mi convince come tesi, troppo bigotta, troppo per benino, troppo facile. "Quello che fanno è divertente nel contesto della verità della loro situazione, la capacità di vedere l'umorismo in situazioni che sono atroci fa parte del meccanismo di difesa. Ecco perché si ride su cose come queste.", ipse dixit Scorsese, e sta bene, caro Gramellini. Il punto non è tanto quanto sia (gratuitamente) feroce o diseducativo The Wolf Of Wall Street, quanto - a mio modesto parere - quanto sia un film di maniera per Scorsese. Voglio dire, se vi avessero dato l'autobiografia dello squalo della Borsa da leggere e vi avessero detto "prova ad immaginarne il film che potrebbe trarne uno come Scorsese", è esattamente così che lo avreste pensato. Il maestro della violenza iper realista ha quasi "pigramente" (mi si passi il paradosso) scritto la sceneggiatura con la mano sinistra (ammesso che sia destro), facendo esattamente quello che ci si sarebbe aspettati dalla sua nomea. Dopo i primi 5 minuti abbiamo già visto il bignami dell'ultra violenza che ci attende, e ce ne sono ancora altri 175 da trascorrere (che suppergiù saranno sempre sullo stesso registro).
I ritratti femminili sono mortificanti, tolta la prima moglie di Belfort (che appare per poche pose), unica donna "normale", il resto è suddiviso in due categorie, o meglio, sottocategorie: in effetti sono tutte zoccole, ma ci sono quelle da strada, con pagamento in contanti, e quelle da carta di credito, che occasionalmente possono anche diventare le mogli degli agenti di borsa. Stop. Le donne di Scorsese qui non possono avere altra aspirazione che farsi sbattere e sguazzare nel denaro. Carne da macello, esattamente come i clienti inconsapevoli di Belfort, mezzi, strumenti che lo separano dal denaro. Margot Robbie (la moglie di Belfort, Naomi) è bellissima, ma tragicamente squallida, anche più del lupo che ha sposato, poiché almeno quello ha un talento col denaro, lei ha solo un corpo da vendere. Trascorsa la prima ora e mezzo comincia a diventare irritante sentire ripetere ad oltranza i dialoghi tra DiCaprio e Donnie Azoff su quanto siano strafatti e su quale e quanta droga assumere nelle successive parti della giornata. Scorsese ci si avvita proprio nella scorsesitudine, diventando pleonastico e totalmente autoreferenziale. Il riferimento piuttosto evidente è a Quei Bravi Ragazzi, con lo stesso stile crudelmente ironico, il ricorso al voice over e il personaggio di Joe Pesci eternamente ricorrente. Jordan Belfort nel film c'è per davvero, è il presentatore che annuncia se stesso sul finale, quando DiCaprio/Belfort esce di galera e chiede a qualcuno del pubblico: "vendimi questa penna". Amo Scorsese, e posso permettermi di dire che The Wolf Of Wall Street non è uno dei suoi film che mi ha conquistato.