Michael Mohan ha molte sceneggiature, tv (la serie Everything Sucks!), cortometraggi ed un paio di commedie sentimentali sulle spalle, ma tutto sommato questo The Voyeurs è forse la sua produzione più impegnativa ed ambiziosa sin qui, licenziata da Prime Video. Un thriller le cui direttive sono chiare, qualcuno ha dato a Mohan le chiavi in mano per un prodotto che si inserisse senza paura di inflazione nel filone delle finestre dalle quali si spia il mondo, i vicini, gli altri e ovviamente - per metafora - sé stessi. Dalla Finestra Sul Cortile di Hitchcock in poi ne sono stati diretti mille di film sul tema e The Voyeurs non fa eccezione. Spinge enormemente sull'attualità del voyeurismo come caratteristica della società contemporanea, deflagrata dai e sui social, devota alla filosofia dell'apparire, del sembrare, del dare ad intendere, alla forma che cannibalizza il contenuto, al vendersi come un prodotto (appetibile). Qui abbiamo due fidanzatini, giovane oftalmologa lei (Sidney Sweeney), pubblicitario un po' sfigato lui (Justice Smith), che vanno a convivere, per altro in una casa incredibilmente di lusso (chi paga? Non è dato sapere....). Dai finestroni grandi come uno schermo imax vedono una coppia di vicini che flirta e si accoppia. Imparano a conoscerli spiandoli, lui è un palestratissimo fotografo artistoide (Ben Hardy), lei è una bambola di pezza disponibile ad ogni suo volere, ovviamente col corpo da modella (Natasha Liu Bordizzo). Lui però quando lei non c'è si serve anche altri pasti, l'oftalmologa Pippa non sopporta e trova il modo (in totale anonimato) di far sapere alla modella che ha le corna. Da qui in poi il giochino intrigante prende una piega imprevista e piuttosto vorticosa.
Da qui in poi è anche tutto SPOILER, quindi siete avvisati. Mi serve per parlare di ciò che non mi ha convinto di questo velleitario The Voyeurs. Tutto ci viene offerto in modo didascalico, siamo guidati per mano, come inetti. Da subito la contrapposizione di coppie è marchiana. I fidanzatini semplici vestono sciatto, sono sempre romantici e mangiano pane e candore, il fotografo col corpo di Conan è un maschio alfa aggressivo, trabocca testosterone ed erotismo, e le sue donne sono bellissime silfidi che accettano tutto. Saltano subito all'occhio le note stonate di questa presentazione poiché la Sweeney ha una fisicità opposta e contraria al suo personaggio, il che ci porta immediatamente a capire che dobbiamo solo aspettare che il cambio di passo si compia (altrimenti cosa l'hanno stipendiata a fare?). Dell'incredibile preziosità delle rispettive case ho già detto e viene da chiedersi come possa l'agiato fotografo avere la medesima casa dei due ragazzotti qualunque, pure questo rimane un mistero irrisolto. Dato che la Sweeney deve passare da ragazza della porta accanto a zozza nel più rapido tempo possibile, lo spettatore rimane piuttosto stranito di quanto poco ci metta a cambiare approccio e psicologia, ma evidentemente Prime voleva un prodotto da consumare rapido e veloce.
Da quando la sceneggiatura prende la piega thriller color sangue tutto diventa altamente improbabile. Dopo il suicidio della modella (a causa della scoperta del tradimento del marito), la Sweeney le lascia un messaggio in segreteria (?), piangendo a dirotto e scusandosi per averla portata a tale livello di disperazione. Più tardi capiremo il perché tale gesto avventato non comporti conseguenze (da parte del fotografo), ma è del tutto assurdo che la Sweeney compia una str.....a del genere. Non solo, alla Sweeney è da addebitare anche un secondo suicidio. Le crolla il mondo addosso, per cinque minuti. Poi parla con un'amica (che le dice di non doversi sentire minimamente coinvolta né colpevole) e la giostra riparte, gli ormoni tornano a fiorire. Ci mancherebbe, per così poco. Per non parlare del finale a colpi di twist. La Sweeney ha competenze chimiche che cela e riversa in bottiglie di preziosi vini italiani, ma le apparecchia quel tanto che basta da rintontire le sue vittime e poterne disporre; da dove deriva tale competenza improvvisa? Chi lo sa. La modella che si era suicidata - e in realtà non si è mai suicidata - si introduce a casa della Sweeney e avvelena i beveroni salutisti del fidanzato; da dove derivano le sue competenze improvvise di ladra scassinatrice e altrettanto avvelenatrice? Possibile che un fotografo metta in piedi un progetto che si basa sullo sputtanamento della privacy altrui fino ad arrivare al reportage di un vero e proprio suicidio (col tizio che penzola impiccato in primo piano) e questo non abbia alcun tipo di conseguenze legali e mediatiche? Possibile. Anzi, il fotografo viene applaudito e premiato in tutto il mondo (il mondo parallelo di Prime). Eccetera, eccetera, eccetera, ne trovate quante ne volete.
Ma tutto ciò non è nulla al confronto del vero climax del film, quello che senza ombra di dubbio alcuno è il momento topico, quello per il quale tutto l'ambaradan è stato architettato e costruito, ed attorno al quale gira vorticosamente, come accade a causa della forza centripeta di attrazione di un inesorabile buco nero. Dal primo fotogramma sappiamo che la Sweeney capitolerà al cospetto dei muscoli (e dello sguardo un po' ebete per la verità) di Hardy. Ci viene detto in ogni modo, manca solo il disegnino. E ci si arriva. E quella scena dura un tempo infinito perché lo spettatore la deve assaporare in ogni sua sfumatura di gusto, ci deve proprio sprofondare e crogiolarcisi. La seduzione dura lunghi minuti (dal bar in poi, nel quale per altro ha luogo uno dei dialoghi più ridicoli della storia del cinema), per poi materializzarsi nell'amplesso che ogni latitudine del globo terracqueo attendeva. E lì, davanti al corpo statuario della Sweeney come mamma l'ha fatta, si capisce che razza di miscasting sia stato perpetrato. Fatto sta che quel momento di sesso è puro fan-service, è il ringraziamento del regista, del cast e della produzione allo spettatore per aver visto il film ed aver speso il relativo denaro. E' un brutto momento? Per qualunque maschio eterosessuale no, sarebbe ipocrita dire il contrario, ma è palese quanto quella sequenza sia una marchetta, una teatrale messa in scena che vive di vita propria e potrebbe durare all'infinito, al solo "scopo" che lo spettatore ne goda (e indubbiamente... ne gode). The Voyeurs è un film che si rivolge ad un pubblico che intende rilassarsi spengendo (completamente) il cervello, questo a seconda del vostro stato d'animo può essere un merito o un demerito. Quel che è certo è che ad un certo punto la Sweeney requisirà ogni neurone davanti allo schermo come una calamità della potenza di un megatone di tesla.