The Company

The Company
The Company

Per qualche motivo Robert Altman non era intenzionato a girare The Company, non lo sentiva nelle sue corde; viene difficile da credere dopo averlo visto, eppure è così, ci volle del tempo perché cambiasse idea e sposasse l'idea di Neve Campbell (anche produttrice), dalla quale Barbara Turner ha poi tratto la sceneggiatura del film. La Campbell prima di dedicarsi alla recitazione nasceva artisticamente come ballerina e tornare a quel mondo, anche se davanti ad una macchina da presa, era un sogno che aveva sempre coltivato. Farsi dirigere poi da Altman certamente ha elevato tutto a potenza. Come spesso accade nelle pellicole del regista di Kansas City la trama è tutto fuorché lineare, o meglio, è tutto fuorché preminente visto che ad Altman solitamente poco importa cosa accade, il suo è più un flusso di coscienze in evoluzione - quelle dei personaggi, mischiate a quelle degli spettatori -  che attraversano spazio, luogo e tempo, e raramente compiono un tragitto lineare che va da A a B, compenetrandosi in un'anarchia creativa. Anche The Company in tal senso non fa eccezione; veniamo catapultati dentro una compagnia di ballo, amministrata dall'eccentrico Alberto Antonelli (Malcolm McDowell), nella quale tutto è vita pulsante, una sorta di natura selvaggia e lussureggiante che offre continuamente fiori e frutti, mentre ne cannibalizza altri, in un rinnovarsi incessante. I ballerini preparano spettacoli e provano senza sosta, le loro vite sono provate e segnate dalla loro professione (che è un tutt'uno con la loro passione), mentre a livello politico e di marketing Antonelli ed il suo team tessono trame, allacciano contatti, prendono decisioni e seguono il proprio infallibile istinto.

Altman non è esente dal cadere in qualche stereotipo. McDowell recita la parte di un italiano (un tocco che ad Altman deve essere sembrato assai esotico per guidare la sua compagnia di Chicago, il Joffrey Ballet), che indossa perennemente una sciarpina gialla, ha lo sguardo sempre allucinato (beh, quello di McDowell), movenze da invasato e spesso per la verità sembra proferire massime esistenziali un tanto al chilo, ma è quel genere di guru messianico piacione che chiunque - senza lavorare troppo di fantasia - si immaginerebbe a capo di un balletto. Attorno gli ronza un codazzo di yes-men e yes-women che non cercano altro di compiacerlo e che non hanno alcun ruolo sostanziale nella compagnia se non inchinarsi al re. Poi ci sono i ballerini, dei quali percepiamo la fatica e la costante contrapposizione, quando uno commette un errore ce n'è subito pronto un altro a sostituirlo, dunque cadere è sostanzialmente fallire. Le "occasioni" arrivano anche (e soprattutto) così, a scapito degli altri. Ad Altman non interessa minimamente costruire morali o impartire insegnamenti, lui mostra, proietta, disegna, contorna e scontorna personaggi di un alveare che non dorme mai e che alla fine, per forza centrifuga, finisce col risucchiare lo spettatore al proprio interno. A proposito di stereotipi, l'appartamento di Ry (Neve Campbell) è un quadretto delizioso quanto improbabile, soprattutto pensando che si tratta di una cameriera che lavora di notte e frequenta la compagnia di giorno, eppure vive in una casa da pubblicità. Altman non rinuncia alla sua estetica e, ben inteso, fa benissimo, dato che a livello visivo i balletti, l'uso delle luci, delle musiche ed i costumi sono estremamente suggestivi ed affascinanti. Al termine del film si rimane col desiderio di poter assistere a quello spettacolo per davvero e non solo attraverso un film dal taglio semi documentaristico nel quale i "rumori di fondo" hanno assai più valenza dei dialoghi in primo piano. La pellicola si chiude in coincidenza con la fine dello spettacolo, privo di un vero finale ma semplicemente sovrapposto a ciò che per tutto il tempo ci è stato mostrato in modo convulso e frastagliato ma totalizzante: la danza (vera protagonista pressoché unica di questa opera).

Trailer ufficiale

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