Secondo lungometraggio di Besson. E' proprio tra il 1985 e la fine dei '90 che Besson sarà il regista più trendy di Francia, infilando una pellicola di successo dietro l'altra. Con Giovanna D'Arco (1999) arriverà la prima cantonata che metterà un freno piuttosto deciso alla sua carriera tant'è che fino al 2014, con Lucy, Besson pur continuando a produrre film rimane nelle retrovie del cinema che conta. Subway è l'inizio della golden age, il film che lo segnala al grande pubblico internazionale, che fa incetta di consensi e premi in patria e che lancia Christopher Lambert (già distintosi per Greystoke - La Leggenda Di Tarzan) dritto verso Higlander, il film più importante della sua carriera. In Subway è già doppiato da Sergio Di Stefano, che ha contribuito non poco al glamour italiano dell'attore transalpino. Besson si segnala come un regista irrequieto, frenetico, smanioso, con l'urgenza di gettare negli occhi dello spettatore luci, colori e suoni. Subway è un film di poca trama e molta atmosfera. L'idea di base è assai interessante, tutto avviene sostanzialmente nella metropolitana, sottoterra, in una landa di nessuno che frequentiamo tutti i giorni ma che non conosciamo affatto e che si estrinseca in dedali labirintici freddi, sporchi e metallici. Qui si rifugia un perditempo (Lambert) che durante un furto entra in possesso accidentalmente di documenti scottanti. Braccato, si seppellisce nella metro, dove scopre altri sbandati pronti a sfangare la giornata con ogni mezzo. Diventa amico delle ombre e nel frattempo instaura una relazione sui generis con Isabelle Adjani, moglie del magnate al quale sono stati sottratti i documenti.
Besson racconta il tutto con poca vena di razionalizzare scene, dialoghi e personaggi. E' tutto molto punk, impressionista, grottesco, situazionista, un linguaggio quasi da cinema fantastico per una materia che invece è concreta, contemporanea, prosaica. Si viene colpiti dai colori, dalla continua mutevolezza dell'effimero, dalla musica martellante di Eric Serra (che nel film recita la parte del bassista). L'iconico Lambert gigioneggia con tutte le sue espressioni da disturbato mentale che, se da un verso si amalgamano a dovere con il clima del film, dall'altro non costituiscono certamente per lo spettatore una chiave interpretativa di ciò che accade. Del resto Lambert è così, prendere o lasciare. La Adjani cerca di mettersi in scia come può, racchiusa in un personaggio che in sceneggiatura è agli antipodi della logica e della coerenza. Di notte, al chiuso, accade di tutto in quella metropolitana, si può fare di tutto, il che risulta davvero poco credibile, anche perché in teoria il servizio si sorveglianza è sempre in giro, alla ricerca dei vari criminalucci di piccolo cabotaggio. E' un andirivieni di personaggi che durano un fuoco di paglia; eccezion fatta il fioraio ed il pattinatore, gli altri sono lampi vaghi e inconcludenti, utili solo a fare folclore. Idem la Polizia, degna di un film con Louis De Funés. Da un certo punto in poi Lambert si fissa con l'organizzazione di un concerto, come fosse la cosa più importante della sua vita. Perché? Perché sì.
Subway è sconclusionato forte. Ok, l'energia visiva sarà pure pulsante ma il film quasi non c'è. Pare un lungo videoclip che non di rado cerca di scimmiottare quello che si vede in America. Alcuni dialoghi sono irritanti per quanto sono sensazionalistici, buttai lì tanto per fare scena. Si prenda ad esempio lo scambio di Lambert e la Adjani quando ballano al bar della metro. Un istante prima lei dice: "sei interessato a me? Vorresti avermi? Beh, non mi avrai mai!" - poi invita a ballare Lambert ed inizia un ping pong demenziale che pare quello di Io e Zio Buck tra Macaulay Culkin e John Candy. All'epoca in Francia fu il terzo film più visto al cinema, recensioni entusiastiche. Citazioni disseminate qua e là come divertissement di Besson, l'inseguimento iniziale sulla scorta de Il Braccio Violento Della Legge, il neon che Lambert stringe in mano come una spada jedi, il finale ispirato a Fino All'Ultimo Respiro di Godard.
- SPOILER: Finale per altro un po' paraculesco perché l'ultima inquadratura di Lambert pare quasi voler essere beffardamente un gioco scoperto con lo spettatore, non era mica vero niente, forse Lambert neppure muore per davvero, o forse il film è finito e quella è un'inquadratura già da backstage, secondo la tipica "rottura di schemi" che Besson ha portato avanti per tutto il tempo.