Soap Opera

Soap Opera
Soap Opera

Nel 2014 Alessandro Genovesi dirige un film da lui scritto e che sin dal titolo pare voler occhieggiare al mondo delle soap opera, che un tempo erano le telenovelas ma che oggi sostanzialmente sono le fiction televisive Rai e anche qualcuna prodotta da Mediaset (che poi sono i due finanziatori della pellicola). Il concetto di soap opera si è notevolmente ampliato e non include più le banali storielle sentimentale Harmony, ma un certo modo di intendere (altrettanto scontato e semplicistico) le relazioni amorose ed interpersonali, sempre all'insegna di una certa enfasi, di un certo pietismo, di una certa faciloneria, di una certa superficialità ed immediatezza. Tutto accade in un condominio, o meglio, agli abitanti di quel condominio, che raramente si allontanano per vivere le vicende che la vita apparecchia loro. Tutto è interconnesso e Genovesi ce lo spiega (didascalicamente) facendoci vedere una sorta di radiografia d'insieme degli appartamenti, in ognuno dei quali succedono cose ai limiti del grottesco. La tipologia dei personaggi si divide nettamente in due: i clown sempre sopra le righe e i fidanzatini ideali - quelli di Peynet - dolci, poetici, un po' malinconici, con lo sguardo trasognato ed il cuore traboccante d'amore. E naturalmente tutto è bene quel che finisce bene. Il punto è che Genovesi per primo non tiene fede al suo proposito, non andando davvero a fare il contropelo alle "soap opera"; se il film intendeva essere una parodia, una presa in giro, una ironica rivisitazione del mondo delle soap non ci riesce perché Genovesi non graffia mai per davvero, non osa, non spinge sull'acceleratore, è tutto tremendamente, ruffianamente, pavidamente bonario, edulcorato, tenue, hai voglia a vestire la Francini da pomposa dama del '700. C'è poi tutto il comparto romantico, da tipica commedia sentimentale italiana contemporanea, con gli occhioni da cerbiatta spaventata della Capotondi, quelli più suadenti ma ugualmente languidi dell'esotica "francesina" Elisa Sednaoui, l'aria frastornata e un po' goffa di De Luigi, che fa scopa con l'aria frastornata e un po' goffa di Memphis, però con l'accento romano, ahò.

A mettere un po' di pepe comico ci sono invece Ale e Franz col freno a mano, Chiara Francini alle prese con un brutto personaggio, Abatantuono che gigioneggia in modo insopportabile ed una Caterina Guzzanti ai limiti dell'umiliazione per il personaggio (poco più di un cameo) che è costretta a (s)vestire. In potenza tutti bravi attori, fiaccati però da una sceneggiatura che ne fa carne da macello. Il (mio) dispiacere maggiore è per la Guzzanti, bellissima, bravissima e mai veramente sfruttata dal cinema per qualcosa che fosse alla sua altezza; il mondo della celluloide non sembra credere in lei (o magari è lei a non fidarsi del cinema), sta di fatto che la sua Patrizia avrebbe potuta interpretarla una Nadia Cassini qualsiasi, non sarebbe cambiato granché. E il paradosso è che non so se devo essere grato a Genovesi per avermela mostrata nuda una volta tanto o abbattermi per averla vista in un ruolo così insulso. Peccato. La Francini è bravissima ma se non è tenuta dentro dei binari tende a strafare, e stavolta le viene consegnato in dote un personaggio assurdo, strampalato, evanescente, al quale può esclusivamente prestare parrucche e costumi parossistici da pagliaccio in servizio permanente effettivo. Ale e Franz hanno sempre classe ed eleganza ma pure loro devono adattarsi ad uno script che concede pochissimo di realmente interessante. Abatantuono è completamente demenziale. La vicenda in sé e per sé non aiuta, anche perché è quasi inconsistente, un pretesto per una sfilata di figurine che dovrebbero essere buffe e divertenti, e che invece annoiano piuttosto rapidamente perché il politicamente corretto è costantemente in agguato. Genovesi fino in fondo non sa decidersi se essere cattivo ed irriverente o delicato e sdolcinato. Il tutto è accentuato da tocchi "poetici" che, dato il contesto, anziché migliorare il prodotto lo esasperano ulteriormente in negativo, come ad esempio quel nevischio lieve lieve che stende ovunque una patina sottile, fa tanta atmosfera e pare trasformare il film in una sfera di vetro da luna park, o quella musica insopportabile da lagna romantica tipicamente nostrana. Per tutto il tempo ci aspetta che il film svolti, ingrani la marcia e finalmente costruisca qualcosa, invece in appena 84 minuti il minuetto si conclude e lo spettatore rimane con un misero pugno di mosche (caramellate) in mano.

Trailer ufficiale

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