Per smorzare una delle estati più tropicali che io ricordi un film crepuscolare, autunnale, addirittura con la neve, è l'ideale, ed allora sono ricorso al primo lungometraggio di Roger Fratter, datato 1997, il suo esordio sulla lunga distanza - diciamo così - anche se di corti e relativi premi a livello nazionale se ne contavano già a bizzeffe. Racconta Fratter che anche questo soggetto era destinato ad un mediometraggio, non ad un film "classico" vero e proprio, ma il giorno che per tutt'altri motivi (doveva girare un videoclip) Elisabetta Principe gli si parò davanti (la protagonista Carmilla), ebbene fu anche il momento in cui Fratter trasformò senza indugi il suo progetto in una storia da "ora e mezza". Che poi 90 minuti non sono, semmai 70, ma l'impostazione è quella del lungometraggio, dove Fratter si prende il tempo necessario per presentare la storia, seguire percorsi principali e secondari, e arrivare a compimento dando al tutto la giusta atmosfera.
Per chi segue il regista (e un po' anche il mio blog) è oramai cosa nota che le atmosfere in Fratter se non sono tutto, sono il piatto forte del menù. Ciò che a lui più interessa e che cura con maggior maniacalità, interesse, dedizione, più delle sceneggiature o di ogni altro dettaglio. Essendo questo un primo film, totalmente indipendente, fatto con un cast di amici e conoscenti, è chiaro che lo sforzo produttivo ha potuto far leva su virtù che di partenza erano necessità; tuttavia, come lo stesso Fratter ama ricordare, i dintorni di Bergamo (dove il film è girato) si prestano amabilmente a contesti vagamente "transilvani", o comunque decadenti, secondo la cifra stilistica dela storia. Menzione importante va alle musiche, non solo perfettamente in sintonia con il clima generale, ma anche assai rispondenti a quel senso di riconoscenza ed ammirazone che Fratter da sempre nutre per il nostro cinema di genere dei decenni passati. Chiudendo gli occhi, a tratti si ha davvero l'impressione di essere al cospetto di qualche titolo luccicante e ultra pop degli anni '70. Così come il sicuro e convinto ricorso all'uso dello zoom è un'altra dichiarazione di indipendenza dagli attuali meccanismi narrativi che detestano questa chiave registica demodé, relegandola spesso a provincialismo ed amatorialità (e infatti Kubrick mica la usava....).
Horror ed erotismo, sangue e romanticismo, assi cartesiani che ospitano a dovere il tema centrale vampirico. La scena più calda è probabilmente quella di Marta Bordino, "posseduta" dalle influenze della vampira e, in ultima analisi, forse dal Diavolo stesso. Una scena di autoerotismo molto intensa. Ma ce ne sono anche altre, nelle quali la vampira giace con i suoi amanti. Qualche dettaglio gore sparso qua e là, ma con parsimonia, poichè a Fratter credo non interessasse l'horror in quanto tale, ma per le suggestioni e le sfumature che quello stile potevano infondere alla storia che egli intendeva raccontare, arricchendola. Una storia di amori interrotti, dannazione, sofferenza e morbosità, secondo il topos classico che coniuga eros e thanatos e che trova la sua sublimazione nel finale che vede protagonisti la Principe e Carlo Girelli. Attenzione ai raccordi, alle cornici che aprono e chiudono il film, si gioca con gli sbalzi temporali, e più in generale per tutto il film eco oniriche, metafisiche e sognanti pervadono il girato di Fratter. Una pellicola carismatica e malinconica, con le sue ingenuità ed acerbità, ma che già lasciava intravedere un autore con entusiasmo, urgenza espressiva e mestiere. Naturalmente tutti sapete che Carmilla è un racconto del 1872 di Le Fanu a tema vampirico, che nel 1960 Vadim gira il bellissimo Il Sangue E La Rosa (recensito sul blog) nel quale Annette Stroyberg è Carmilla Karnstein (evidente omaggio a Le Fanu) e che la Hammer si era già interessata a quelle pagine con alcune sue produzioni, come ad esempio Le Figlie Di Dracula (1971) con Peter Cushing e le sensualissime gemelle Collinson (pure questo titolo trattato su Cineraglio).