
All'altezza di Riflessi In Un Occhio D'Oro Elizabeth Taylor è una potenza hollywoodiana, quattro anni prima Cleopatra l'ha proclamata imperatrice e questo ad esempio le consente di imporre come protagonista maschile del film Montgomery Clift, suo amico fraterno, senza di lui Cleopatra non sarà della partita. La Produzione non può che accettare e la regia viene affidata a John Huston. Tuttavia accade che Clift muoia nel '66 prima dell'inizio delle riprese, a sostituirlo viene chiamato Marlon Brando, che in realtà è il piano C, dopo il sondaggio di Richard Burton e Lee Marvin. L'avvicendamento è enorme se lo si pensa in chiave extrafilmica; quello del Maggiore Penderton è il ruolo di un omosessuale represso (probabilmente anche impotente), e mentre Clift era omosessuale (più o meno scopertamente, dato il moralismo hollywoodiano), Brando non lo era per niente, anzi era la quint'essenza della virilità e del machismo. Il che tuttavia si sposava perfettamente con le frustrazioni del militare che doveva interpretare, ossessionato dal culto del corpo, dalla fisicità, dal bisogno di dimostrare la propria autorità, di farsi obbedire con un solo sguardo, al primo comando, debolezze derivanti dalla propria sessualità irrisolta e non accettata serenamente. La fragilità di Penderton è il motore del film, per altro crudelmente inserita all'interno di un microcosmo di personaggi altrettanto fragili ed irrisolti, il cui cocktail non potrà che fungere da detonatore di una prevedibile quanto inarrestabile tragedia.
Elizabeth Taylor interpreta una crudele, spietata ed anaffettiva donna (Leonora), moglie del Maggiore ma totalmente scollata dal proprio matrimonio, affaccendata in una tresca con il Colonnello Langdon (Brian Keith, il giudice Hardcastle di Hardcastle & McCormick), a sua volta sposato con Alison (Julie Harris), depressa cronica con tendenze autolesioniste a seguito della perdita di una figlia neonata e della conclamata infedeltà del marito. Alison ha una sorta di liaison platonica con un Capitano della base militare, totalmente inetto al comando e che per questo è deriso dai commilitoni e prossimo a lasciare le Armi. Infine, in questa girandola di disagio esistenziale, si inserisce il soldato semplice Williams (Robert Forster), un uomo scostante, schivo e taciturno, con strane pulsioni (cavalca nudo nel bosco una cavalla nera e spia nottetempo Leonora entrando fin nella sua camera da letto). - SPOILER: Per una serie di equivoci Pendelton si illude che le attenzioni di Williams siano rivolte a lui anziché alla moglie e, dopo un incidente a cavallo che quasi gli costa la vita, decide di affrontare una volta per tutte la sua condizione e "liberare" la propria sessualità fino a quel momento imbrigliata, gettando un amo a Williams. Quando però capirà che l'uomo desidera sua moglie anziché lui verrà divorato dalla rabbia e dall'umiliazione, con tutte le prevedibili conseguenze del caso.
La mano ferma e solida di Huston permette a questo dramma di non naufragare nel patetico, nel retorico, nell'eccessiva enfasi che avrebbe potuto tingersi di pacchiano. Il taglio della vicenda è estremamente razionale, trattenuto, focalizzato, il regista americano (poi naturalizzato irlandese) è abilissimo nel seguire con occhio quasi clinico i suoi personaggi, dando ad ognuno di loro agio di mostrarsi e "spiegarsi" al pubblico. Terribile il ruolo che la Taylor è chiamata a recitare, un personaggio davvero spregevole, sostanzialmente cattivo, approfittatore degli altri e volto esclusivamente all'autogratificazione. Non risulta impossibile scorgere una certa vena autobiografica nei momenti di maggior rabbia e capriccio di Leonora. Eppure, nonostante la plastica negatività di Leonora, Liz riesce a tessere una creatura di una sensualità pazzesca, complici alcune fugaci scene di nudo (quelle nelle quali provoca ferocemente il marito). Enorme l'interpretazione di Brando, in un ruolo che avrebbe messo a dura prova qualsiasi attore. Brando sfida se stesso, la propria icona ed il proprio mestiere. La sola scena del pianto quasi infantile dopo la caduta da cavallo valga come esempio della maestosità di questa interpretazione. C'è poi un ulteriore personaggio che contribuisce ad aggiungere bizzarria alla pellicola, quella di Anacleto (Zorro David), maggiordomo tuttofare di Alison, vera e propria anima gemella, un fratello che condivide empaticamente tutto ciò che vede, sente e prova Alison e che rappresenta la sua unica ancora di salvezza nella realtà, per lei amarissima. Il film, tratto dall'omonimo romanzo di Carson McCullers del 1941 (al quale si ispirò pure Ian Fleming per dare il nome alla sua magione in Giamaica, chiamata Goldeneye), venne girato in una doppia versione, normale e colorata artificialmente in modo da ricreare una onnipresente patina dorata, a simboleggiare la visione riflessa dell'occhio d'oro (quello di un pavone citato e disegnato da Anacleto). L'idea era che quell'occhio fosse una sorta di faro d'osservazione esterno alla storia e che attraverso di esso lo spettatore potesse entrare in quel mondo e scrutare quel piccolo universo di umanità dolente, grottesca, perennemente combattiva ed autolesionista. Il pubblico tuttavia rimase interdetto da una simile scelta e il film venne rieditato in sala con un cromatismo classico privo di eccentricità. Chi acquisterà il dvd A&R Productions potrà ancora gustarsi la doppia versione.