Rodrigo Cortés è quello di Buried, già solo questo dovrebbe invitare a vedere il nuovo Red Lights. Ma se non bastasse, abbiamo in cartellone Sigourney Weaver, e allora la visione è obbligatoria, come l'inchino davanti alla statua della madre del Megadirettore Cavalier Conte Diego Catellani tutte le mattine quando si entra in ufficio. Il film verte sul paranormale, Sigourney è una psicologa che indaga sul mondo dell'extrasensorialità, smascherando truffe ogni giorno, più o meno come fosse un membro del C.I.C.A.P. (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale); il suo scagnozzo è un fisico, nonostante la faccia da modello bisessuale che fa la pubblicità di un eau de qualcos (Cillian Murphy). C'è della ruggine tra la Weaver è il leggendario Simon Silver (Robert De Niro), guaritore messianico dai misteriosi poteri, che anni fa furoreggiava in tv, ma che si ritirò dalle scene in seguito all'inquietante morte per infarto del suo principale oppositore, un giornalista. Silver adesso è tornato in attività, e Murphy smania per studiarlo ben bene, ma la Weaver è recalcitrante. In un crescendo di avvenimenti inspiegabili, le cose prenderanno una gran brutta piega...
A commento del film, da adesso in poi SPOILERO, quindi, se non lo avete visto, fermatevi qui che siete ancora in tempo. Ci sono alcune cose di Red Lights che ho apprezzato, altre che invece non mi hanno convinto. Sicuramente Sigourney è una freccia nell'arco di Cortés, recitazione impeccabile, un mostro di carisma e presenza scenica (come a suo modo lo è pure Bob De Niro, anche se gigioneggia alla grande). Argomento, clima ed ambientazione del film sono ben resi, interessanti e coinvolgenti; la fotografia è notevole e fascinosa (anche se magari un po' artefatta per luminosità e colori). Promosse pure le musiche. Finché la Weaver non tira il calzino (già, perché praticamente dopo 50 minuti circa muore d'infarto) il film regge abbastanza, e si è curiosi di vedere come evolverà la storia. La sceneggiatura però non mantiene le premesse (o le promesse, se preferite), perché di lì in poi, col solo Murphy a reggere la baracca, il plot prende una piega assai più teatrale e inverosimile. Murphy ha una recitazione esagerata, molto fisica, piena di gesti ed espressioni, tutto troppo marcato, vistoso, plateale (e pure un po' sguaiato), un contrasto tremendo con la sobrietà della Weaver.
Molto si giocava sull'ambiguità di Silver (ci fa o ci è?), è la banale risoluzione che la sua truffa consiste nell'essere un finto cieco, oltre che poca cosa, è pure molto scontata. Cortés per altro gioca sporco, perché durante il film ad esempio ti fa vedere De Niro in atteggiamenti tipicamente da "non vedente", anche quando è da solo in una stanza a "sentire" la tv; a un certo punto si alza ed avanza a tentoni (piccolo imbroglio ai danni dello spettatore per fuorviarlo). Murphy viene pestato a sangue a teatro durante l'esibizione di De Niro; al di là del fatto che tutta quella parte è troppo roboante e sparata rispetto al film visto fin lì, rimane comunque risibile quando Murphy, tutto accartocciato e sanguinante, spalanca le porte del teatro manco fosse l'Otello tradito e fa la scena madre con De Niro sul palco, un altro po' e Red Lights si trasformava in Harry Potter o Il Gladiatore. E pure il pistolotto finale, ripetuto ossessivamente da Murphy, quello del "non puoi negare te stesso per sempre" causa un prolasso dello scroto istantaneo. Scemo il personaggio di Toby Jones, uno scienziato imbranato e incompetente che studia pure lui i fenomeni paranormali, ma con un approccio più possibilista (è un po' l'alter ego della scettica Weaver); più che uno studioso pare una sorpresina dell'ovino Kinder.
Peccato perché il film c'è, Cortés sa il fatto suo, De Niro e la Weaver sono due giganti, però Red Lights non porta a casa un risultato rotondo. Fosse stato una partita di calcio sarebbe finita con un risicato 1 a 0, o addirittura un pareggio. Rimane anche il fastidio di non riuscire più a vedere una produzione con Sigourney Weaver protagonista e in scena dal primo all'ultimo minuto. Come per Sharon Stone ed altre "vecchie" glorie di Hollywwod, il tempo per loro sembra essere passato, per colpa della carta d'identità. Eppure, bastano 50 minuti di Ellen Ripley per motivare uno spettatore a vedere un film che di difetti ne ha.