
Nel 1972 la Columbia Pictures paga 75.000 dollari a David Morrell per assicurarsi i diritti del suo First Blood. Il progetto viene affidato a Richard Brooks il quale stende una sceneggiatura che incentra l'attenzione sulle malefatte del potere e dell'autorità a scapito di Rambo, vittima di soprusi e addirittura ucciso a sangue freddo nel finale. Niente eroismi dunque, quanto piuttosto una vibrante denuncia sociale. Dopo un anno di lavorìo, Brooks intende addirittura riscrivere da capo lo script e la Columbia sentendo odore di flop rivende i diritti alla Warner Bros incassando 125.000 dollari. Il film non si concretizza mai, inizia una girandola di nomi per la regia ed il cast (Mike Nichols, John Badham, John Frankenheimer, Robert De Niro, Clint Eastwood, Paul Newman, Nick Nolte, John Travolta, Al Pacino, Michael Douglas, Gene Hackman, Robert Duvall, Rock Hudson, persino Chuck Norris e Terence Hill, o almeno così si narra) fino a che i produttori Mario Kassar e Andrew G. Vajna, detentori della Carolco (già in odore di fallimento) investono quasi 400.000 dollari per i diritti di First Blood. Perlomeno hanno le idee chiare, il film è affidato a Ted Kotcheff e come protagonista viene scelto Sylvester Stallone, seguendo il ragionamento per il quale Rambo è la storia di un outsider, un underdog, un ultimo che sorprendentemente ribalta una situazione a proprio sfavore, e chi meglio di Rocky Balboa, un altro underdog, vincitore di tre premi Oscar nel 1977. Stallone era già al secondo Rocky, col terzo capitolo in procinto di uscire, e cercava disperatamente un titolo che lo emancipasse dalla storia del pugile, non avendo avuto molta fortuna con i vari F.I.S.T., Taverna Paradiso, Fuga Per La Vittoria e I Falchi Della Notte. In particolare in questi ultimi due titoli Stallone si era visto oscurare parzialmente da altri attori del cast, motivo per il quale fece fuoco e fiamme quando gli fu comunicato che per il ruolo dello sceriffo Teasle sarebbe arrivato Burt Reynolds. Lo Stallone capriccioso minacciò addirittura di abbandonare il progetto. Ad un certo punto lo sceriffo sarebbe dovuto essere Kirk Douglas, ma all'ennesima riscrittura della sceneggiatura (con i contributi di Stallone previsti per contratto) - la 27esima - Douglas perse le staffe e se ne andò, sostituito poi da Brain Dennehy su suggerimento di Kotcheff.
Rispetto al romanzo il film diventa meno violento e molto più digeribile in chiave eroica e politicamente corretta. Rambo da 16 vittime scende a zero, minaccia tutti ed è tranquillamente in potere di sterminare l'intero ufficio dello sceriffo ma non lo fa, così come lascia in vita il ragazzino che lo scopre nella boscaglia. Rambo è un mite (anche se scatena una guerra) ed è un buono (anche se in Vietnam era un'arma di morte). Il personaggio ha accenti lievemente grotteschi, perché se da una parte Richard Crenna (il colonnello Trautman che lo ha comandato in Vietnam) lo dipinge come un terminator implacabile ed infallibile, dall'altra viene sottolineata la vena generosa e umana di Rambo, vittima degli eventi, della storia e della società. Il gran merito del film, oltre alla sua spettacolarità, è il taglio drammatico e profondamente vero nel descrivere l'America post Vietnam. La condizione di John J. Rambo (nel romanzo è chiamato sempre e solo per cognome, che deriva da una qualità di mele) è quella dei reduci di quella guerra che lo zio Sam non ha mai amato ricordare né tanto meno celebrare, l'unica guerra persa e malamente dall'America, nella quale si era macchiata di crimini e nefandezze, e che aveva visto una copertura mediatica senza precedenti (pro ma anche contro). A dispetto della fama creatasi poi attorno al personaggio di Rambo, derivante perlopiù dai seguiti "firmati" da Stallone (nel senso che, nonostante non fosse il regista, le sceneggiature sulle quali lui interveniva erano cucite su misura su di lui e sulle sue crescenti esigenze), dalle pellicole apocrife girate in tutto il mondo, e dagli altri film di Stallone (i sequel di Rocky, Cobra, Over The Top, etc.) sempre più autocelebrativi e spiccioli nei contenuti, Rambo rimane un piccolo grande capolavoro, affatto banale o superficiale nella sostanza e nei temi affrontati, ben girato e con un finale da manuale di storia del cinema. John Rambo non è un eroe, è un tizio qualsiasi, un ultimo, un perdente, un esiliato ed un apolide. Non ha più niente per cui valga la pena vivere, i suoi ricordi sono incubi, il suo passato è la sua condanna, e soprattutto paga e sconta colpe non sue. Tutto questo esplode nell'intensa scena finale, dove Rambo si arrende a Trautman (lasciandosi alle spalle la distruzione totale) mentre tra le lacrime e i singhiozzi racconta il suo stato d'animo, i suoi demoni, le allucinazioni che lo tormentano ed i suoi silenzi di settimane senza riuscire a scambiare parola con nessuno. Un finale dimesso da un punto di vista dell'azione e dell'adrenalina, ma altamente drammatico e di grandissimo impatto emotivo che alza enormemente il livello del film, differenziandolo dai tanti copia/incolla che si scateneranno per tutti gli anni '80 nel disperato tentativo di emulare Rambo senza averne compreso il segreto (vedi anche i seguiti stalloniani nei quali l'ex berretto verde diventa un eroico cavaliere muscolare senza macchia e senza paura, e senza più chiaroscuri).
La prima versione di Rambo raggiungeva le 3 ore e mezzo di durata. Stallone, terrorizzato da un ennesimo flop che lo avrebbe inchiodato a vita al personaggio di Rocky, apparentemente l'unico in grado di regalargli buone critiche e ottimi riscontri di pubblico, si offrì addirittura di rilevare il film per toglierlo dalla circolazione e non farlo mai arrivare in sala. Alla fine si scese ai canonici 90 minuti di durata, imprimendo alla storia ritmo e dinamicità. Le riprese furono segnate da diversi incidenti, Stallone spacca per davvero il setto nasale ad Alf Humphreys nella scena in cui gli dà una gomitata (tant'è che poi i cerotti sulla faccia sono veri), lui stesso si rompe una costola nella scena della caduta a volo d'angelo dalla parete di roccia in mezzo alla vegetazione, uno stunt rischiò la paralisi in una scena d'inseguimento, a causa dell'impatto violento dopo un salto, l'auto di Dennehy non era previsto si dovesse rovesciare durante la rincorsa a Rambo sulla moto e Stallone quasi perse una mano quando scappa dai proiettili rifugiandosi nella miniera, poiché senza volerlo la appoggiò proprio dove era posizionata una carica esplosiva che doveva simulare gli spari. Vennero previsti tre finali alternativi, ne vennero girati due e infine venne scelto quello che tutti conosciamo, il più conciliante. Dal 1982 Rambo è entrato di diritto nell'immaginario collettivo, persino alcuni accessori, come il coltello o la fascetta sulla fronte, diventarono di gran moda, elevandosi a veri e propri status symbol. La locandina del film ha fatto epoca, subendo mille imitazioni e i film "rambeschi" di quel decennio non si contano (in Italia ci fu il mitico Thunder di Castellari con Mark Gregory a fare le feci... le veci di Stallone), anche se spesso le ambientazioni "alla Rambo" finirono con l'intersecarsi con quelle post apocalittiche e post atomiche derivanti da 1997: Fuga Da New York uscito un anno prima (a cui poi si aggiunse anche un pizzico di Terminator, uscito invece nel 1984). Assolutamente da menzionare una favolosa colonna sonora ad opera di Jerry Goldsmith, compresa la theme song da brividi "It's A Long Road", originariamente cantata da Dan Hill e poi ripresa anche da Frank Stallone, fratello di Sylvester.