Con un titolo atroce, da commedia romantica con Ambra e Luca Argentero, arriva l'ultimo film di Polanski, che in originale sarebbe D'Après Une Histoire Vraie, ovvero "basato su una storia vera". E così è, non solo poiché il film racconta di una scrittrice che pubblica un libro basandosi su una esperienza autobiografica di vita vissuta, ma perché (e si comincia con gli elementi di metacinema presenti nel film) la stessa sceneggiatura di Polanski (e Olivier Assays) si basa sul romanzo di Delphine De Vigan, Delphine, come il personaggio della protagonista interpretato da Emmanuelle Seigner, compagna di Polanski anche fuori dal set. Un film quasi tutto al femminile, basato su pochissimi personaggi ed ambienti, in questo tipicamente polanskiano e simile per certi versi al recente Carnage (anche per l'ironia velenosissima soggiacente a molti momenti disseminati qua e là).
Per circa 3/4 la storia gioca su di un'ambiguità che poi si svela con un twist molto forte, non impossibilissimo da prevedere ma comunque interessante poiché, una volta scoperto, non inficia il godimento della visione. Diciamo che Quello Che Non So Di Lei si può seguire su di un doppio binario, uno più lineare e superficiale, l'altro più metacinematografico ed intellettuale, perfettamente polanskiano. Si fa prima a dire che questo film è la quint'essenza del Polanski pensiero, ci sono tutti i suoi elementi tipici, dal giocare con lo spettatore "al gatto e al topo" al senso di minaccia hitchcockiana incombente, dal rimando tra realtà e finzione all'angustia degli spazi, da un'infermità fisica limitante al tono grottesco della narrazione e della rappresentazione, fino alla mistificazione programmatica e divertita, vera cifra di Polanski.
Il tutto è diretto con estrema maestria ed eleganza, e ci mancherebbe altro visto il nome scritto sulla sedia del regista. "Quello che so di lui" e che conseguentemente posso dire è che se da una parte la ragione sociale del film, pur appartenendo pienamente all'orizzonte di Polanski, è comunque una formula divenuta oramai abbastanza inflazionata sul grande schermo (ed evito riferimenti diretti per non spoilerare), dall'altra è forse una delle rarissime volte che la visione si è rivelata più di maniera e meno entusiasmante del solito. Non si può che rimanere ammirati dalla forma e tuttavia stavolta c'è quasi esclusivamente quella; Polanski ammicca e si compiace, lavorando su ciò che sa fare al meglio, lo spettatore se ne bea perché sempre di fotogrammi di grande cinema si tratta, ma non c'è innovazione, originalità o sorpresa. Personalmente non impazzisco per la coppia di attrici protagoniste, la Seigner funziona quasi esclusivamente nei film di Polanski (e qui è notevolmente appesantita, con cognizione di causa ed un certo coraggio che le va riconosciuto), Eva Green è per me di un'antipatia epidermica difficilmente sanabile, ma funzionale all'economia del film, senza ombra di dubbio. Finale apertissimo e volutamente ambiguo, anche se alla fine credo che il 99% degli spettatori propendano per la medesima risoluzione...
- SPOILER: l'alter ego Eva Green non è mai esistito, se non nella fantasia della Seigner (come Tyler Durden).