
I meno giovani all'ascolto si ricorderanno dello sketch di Antonello Fassari nel programma Avanzi con la Dandini e i Guzzanti, nel quale faceva il compagno addormentato, un vecchio comunista che si era addormentato prima della caduta del muro di Berlino, con Mosca saldamente in testa all'esercito dei buoni nella battaglia per le magnifiche sorti progressive dell'umanità contro il vile Capitalismo. Il suo risveglio in un mondo post moderno era sconvolgente poiché tutte le sue certezze morali ed etiche si erano disgregate, ogni verità era stata capovolta e il suo disorientamento lo portava a lunghi ed inconsolabili pianti. Walter Veltroni riparte esattamente da lì solo che toglie qualsiasi patina comica alla vicenda e trasforma il compagno addormentato in un personaggio tragico ed amarissimo con il volto di Neri Marcorè. Il film è tratta dal romanzo omonimo di Veltroni che, se da un verso si improvvisa regista con tutta l'inesperienza del caso, dall'altro non potrà certo essere accusato di aver tradito la visione e lo spirito delle pagine che lui stesso ha scritto. Si circonda di facce care alla sua area politico culturale (Marcorè, il Mago Forest ovvero Michele Foresta, Stefano Fresi), delle canzoni tanto rassicuranti quanto mefitiche di Cesare Cremonini, collabora alla sceneggiatura con Simone Lenzi e Doriana Leondeff, gira a Roma dandole anche un certo spazio nelle riprese esterne (Colosseo, Eur, etc) e ricevendo l'appoggio economico della Regione Lazio per finanziare il film.
Quando è un ininterrotto e un po' petulante "si stava meglio quando si stava peggio". Marcorè perennemente stordito e annebbiato (comprensibilmente dati i decenni di coma) ripercorre 30 anni di storia attraverso il filtro della "sinistra" (comunista ma idealista, emancipata dall'Unione Sovietica ma in lotta con i socialisti, consapevole degli errori storici ma devota alle idee che erano giuste di contro alle ideologie che erano fallaci), in un perenne stato di vittimismo, incredulità ed autocommiserazione. Giovanni, il suo personaggio, è assistito devotamente da una suorina (l'incontro del mondo laico con quello cattolico) interpretata da Valeria Solarino, la quale vorrebbe sempre fare un passo in più di quello che può fare dato l'abito che porta; fa comunella con un muto selettivo che però con Giovanni sboccia e torna a parlare senza alcuna ragione plausibile se non il politicamente corretto, e poi perché a Giovanni in sceneggiatura serve una spalla e un millennial che lo guidi nella tecnologia. I dialoghi del film sono tutti sistematicamente funzionali a fare una morale, anzi la morale, articolo determinativo (chi l'ha buttato giù il muro di Berlino, gli americani? No, "dei ragazzi"....). Giovanni vede vecchie foto, gira per Roma, va al ristorante e tutto ciò che gli accade è propedeutico alle facce di Marcorè ed alle sue digressioni su come "prima" fosse tutta un'altra cosa. Lo scambio con Fresi, cameriere controvoglia di un ristorante iper modernista ma in realtà filologo cultore di Chretienne de Troyes, che invita i clienti a magnasse 'na bella amatriciana alla trattoria in fondo alla strada è lo specchio perfetto del Veltroni pensiero, una rappresentazione manichea del mondo nella quale il liceale umanista della Roma bene si ritroverà a pennello e il fresatore della Brianza con la terza Media maledirà ogni cosa, sentendosi un completo alieno.
Filmicamente, perché al di là della storia non bisogna dimenticarsi che questo è cinema, dunque anche forma, l'opera è di una povertà registica imbarazzante. Altro che l'ultimo Dario Argento, pare di essere al cospetto di una fiction tv con qualche bello scorcio romano che affiora timidamente di tanto in tanto. Tempi dilatati se non morti (d'accordo il risveglio dal coma ma appunto, Giovanni si risveglia da questo benedetto coma, non lasciamoci lo spettatore invece), dialoghi sempre tanto pensati per spiegare e contestualizzare, decisamente poco "veri", tranne nella parentesi riguardante Flavia (la fidanzatina dei diciotto anni) e Giovanni; il loro incontro sulla panchina è intenso e autentico, anche se dopo viene ampiamente guastato dal prosieguo degli eventi. Ci sono pure situazioni involontariamente ridicole, come ad esempio quando Giovanni scappa via da Flavia profondamente disturbato dalle sue rivelazioni matrimoniali e lo fa di passo svelto, senza considerare che fino a quel momento si era molto insistito sulle sue difficoltà di deambulazione e sull'incedere costantemente incerto. Alla vecchia sede del partito (unità di misura del Tutto), non ci sono più i vecchi militanti e non c'è proprio più la sede del partito (come non c'è più Botteghe Oscure) e Giovanni si abbandona ai ricordi di una comunità fatta di persone belle ed oneste, in questa idealizzazione assoluta della realtà secondo la quale fino al 1984 non esistevano egoismi, individualismi, malizie e malvagità, ma solo una grande fratellanza universale, e credo anche i Puffi e i Barbapapà.
Il colpo di grazia arriva con l'esame di maturità che Giovanni sostiene 30 anni dopo e durante il quale espone alla commissione esaminatrice le riflessioni maturate in questi primi giorni di rinascita, un discorso di una retorica, di un qualunquismo e di una banalità che al confronto Baci Perugina e fidanzatini di Peynet sono Guerra e Pace di Dostoevskij. Fragoroso applauso entusiasta di tutti i presenti che scoprono il loro nuovo maître à penser, in un sorprendente idem sentire che improvvisamente unisce boomer e generazione Z, e che si conclude con Giovanni che viene finalmente accompagnato in un luogo dei suoi sogni, un set di Non Ci Resta Che Piangere con Benigni e Troisi, non ci resta che piangere appunto, l'epigrafe di Giovanni sul nuovo mondo che lo ha accolto e che non ha realizzato nessuna delle sue utopie adolescenziali.