Pane E Burlesque

Pane E Burlesque
Pane E Burlesque

Dovendo raschiare il barile alla ricerca di soggetti spendibili per l'ennesima commedia italiana un tanto al kg, non poteva mancare il recupero di un argomento quasi già fuori moda, il burlesque. Al netto dei servizi tele-giornalistici, quelli di "alleggerimento", nei quali a scadenze regolari vengono ripescati fitness, uncinetto, composta di albicocche e magari pure la danza aerobica di Jane Fonda e Olivia Newton John, il burlesque in Italia è transitato come un Eurostar lanciato a 300 km all'ora dalla stazione di Castelletto di Branduzzo. Pratica che entusiasma molto gli americani (che si sono ovviamente subito prodotti l'omonimo megacolossal zeppo di star), l'Europa dei Paesi Bassi e della Scandinavia (aree a più altra concentrazione di zone "erogene"), da noi il burlesque è durato cinque minuti, il tempo di far iscrivere qualche segretaria e qualche casalinga ad improbabili corsi succhiasoldi, assieme alla mania della lapdance, pure quella pompata a dovere dai Media in carenza di notizie di giornata. Per carità, nobili arti con tutto un loro perché, ma tra lo standard Dita Von Teese e il corso di spogliarello al quale, con un banale cambio di nome, viene affibbiata l'altisonante etichetta di élégant et raffiné stage de danse sensuelle spéciale, col corredino magari di qualche pizzo e laccetto, continua a correre la sua bella differenza.

Pane E Burlesque cerca di mettere assieme due esigenze diverse, la lotta operaia (quindi la cruda e dura sostanza della realtà, il sociale) e il "burlesco" (l'effimero). Il problema qual'è? Che il soggetto poteva pure essere stimolante ma, al solito, viene sviluppato nei termini della commedia italiana anni 2000, ovvero all'insegna del banale, dell'ovvio, del prevedibile, dell'omologazione, del politicamente corretto variegato al moralismo e al buonsensismo; ci si affida immancabilmente ai dialetti, a battute telefonate, a personaggi caricaturali. Alla commedia italiana, questa commedia italiana, piace vincere facile. Minimo sforzo massimo risultato (al botteghino, dove viene quasi sempre premiata, e com'è noto il pubblico è sovrano, tranne quando guarda i programmi della D'Urso e della De Filippi, allora lì è bue). Il manuale del commediografo italico 2.0 prevede al capitolo uno la scelta di una location sufficientemente turistica e cartolinesca, il che permette in primis il sovvenzionamento del Ministero e/o l'interesse della Proloco. Segue quindi tutto lo spalancare di porte e portoni del settore turistico locale, il quale pregusta vacanze estive con l'indice che si impenna. Il Sud Italia tira tantissimo (tranne che a casa Salvini), zone costiere con un sole che spacca le pietre, le viuzze strette e caratteristiche, il buon cibo, il vinello, gli spaghetti e il mandolino.

Al secondo capitolo abbiamo la scelta del cast, e qui le opzioni possono variare: grandi eroi televisivi strappati agli show di prima serata di Mediaset, qualche nome più di peso (che so, un Gassman, un Bova, un Michele Placido, oramai adottati dal filone), l'attrice bruttina ma simpatica a fare comicità "dirompente" e soprattutto da contrappeso alle bellocce, declinate in una gradazione che va dalle belle e brave alle strafighe balconate inutili ma di presenza. Per non abbandonarsi esclusivamente all'aspetto glamour e ridanciano (sia mai....) ci deve essere sempre un allaccio alla odierna situazione sociale del Belpaese, un tic, una mania, una deriva italiana che viene puntualmente battezzata a martello dai giornali e dalla tv, in modo che lo spettatore nel travaso dalla tv al cinema non si senta troppo sballottato. Quindi si passa alla sceneggiatura, il nulla assoluto. Dialoghi che dovrebbero far ridere, mosse, mossette e getsualità "tipica", mai troppo volgare però, ché altrimenti il giovane 30/45enne - ovvero il target di riferimento di questo cinema - si sente additato come coatto e non gradisce. Il suddetto manuale immancabilmente prevede anche il capitoletto sulla musica da usare, che svaria da un commento sonoro buffo e sornione, a pezzi pop ultraradiofonici tipo Cremonini, Ferro, Coldplay o, come in questo caso, una riedizione de "L'Amore Verrà" della Zilli (già cover delle Supremes).

Il cast di Pane E Burlesque è scelto col bilancino; abbiamo Edoardo Leo, a mio parere un ottimo attore ma con un curriculum che sin qui conta perlopiù film -ini -ini, abbiamo Laura Chiatti, che non ha ancora deciso se essere figa o essere brava (qui fa la bruttina ma è come se avesse scritto in fronte: "tanto l'abbiamo stabilito a prescindere che sono una gnocca totale no?"), abbiamo Sabrina Impacciatore, un vero talento a mio parere ma pure lei spesso e volentieri ridotta a macchietta comica, abbiamo Michela Andreozzi e Caterina Guzzanti, idem come sopra (film inutili e/o ruoli caricaturali), abbiamo Giovanna Rei (figa e basta, e pure un po' antipatica). Segue un codazzo di caratteristi che nessuno si ricorderà un minuto dopo che il film è finito (ahi ahi, la grande tradizione dei caratteristi del cinema italiano.....). Furbescamente, dato il tema non scelto a caso - sulla scia delle pruderie alla The Full Monty e Calendar Girls, pellicole dove persone qualunque devono cimentarsi col nudo, lo spettacolo e l'arte della seduzione per cause nobili - Manuela Tempesta in cabina di regia piazza una tetta qua, una scosciata là, guepierre a destra e bustini a sinistra, cosìcché il marito/fidanzato/compagno del caso abbia pure lui porello qualcosa da vedere, tra uno sbadiglio e l'altro. Sorprese zero: la "burlesca" Impacciatore è il consueto Calimero farsesco, graziosa ma al contempo folcloristica con la sua parlata franco-pugliese, e tuttavia nella sua estrosità è il personaggio buono e positivo del film, che combatte a suo modo il moralismo ipocrita dei compaesani (incastonati in un'Italietta da anni '50, fatta di uomini di mezza età al bar, stempiati, con le bretelle, la panza, il calcio sempre in bocca, e le comarine pettegole sempre dal parrucchiere).

A seguire il menù offre: casalinghe disperate, goffe all'inizio e ultra sexy dopo tre fotogrammi e mezzo, un Edoardo Leo un po' imbranato ma attraente al punto giusto, la lotta operaia a corollario che non ci fa perdere il contatto con un minimo (ma proprio minimo) di denuncia sociale, il risolutivo confronto "drammatico" nel quale perbenismo vs libertà si rivela un temibilissimo scontro all'ultima ovvietà, con conseguente contrizione catartica dei vecchi bacucchi del paese e vittoria del giusto, del bello e dell'autentico. E pure lo spettatore alla fine ha una convinzione inamovibile e certa: con quel soggetto e quegli attori si poteva tirar fuori parecchio di più, di meglio, invece che accontentarsi della solita lisciata di pelo ad un pubblico pigro. Manco lo sforzo di pensare una locandina vagamente originale, attrici in primo piano, sfondo anonimo, qualcosa che potrebbe andare bene indistintamente per altri 800 film diversi semplicemente cambiando titolo e facce dei protagonisti. Considerando che la regista è donna, stupisce anche come il plot si adagi su "tette e carnazza" come via all'emancipazione e alla leadership femminile, mentre gli uomini del paese trascorrono le proprie giornate a non far niente tra disoccupazione e autocompatimento. Per molto meno Tinto Brass sarebbe stato crocifisso dai Morandini & Mereghetti. Ci prova la povera Guzzanti a fare la rigorosa sindacalista tutta d'un pezzo, ma il suo personaggio ha il peso specifico dello Jocca, annegata com'è tra le piume di struzzo, le velette e i corpetti scollati delle concorrenti burlesquine. L'unico conflitto in essere è quello delle lolite, indecise se essere catalogate come artiste della sensualità o mignotte tout court, l'atroce dilemma shakespeariano che si pone con loro la comunità paesana. Ogni (eventuale) intento superiore viene vanificato dalla cadenza dialettale, dalla ricerca della situazione facile, dalla mossetta (tipo la Chiatti che si trascina goffamente sui tacchi, una roba al cui cospetto Godzilla che invade Tokyo è più credibile). Vorrei ma non posso, oppure neanche vorrei e mi sta proprio bene così; peccato, se certo cinema di genere avesse avuto anche solo la metà dei budget impiegati per queste commedie tutte uguali, avrebbe creato metamondi incredibili.

Trailer ufficiale

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