Sul set ad 81 anni, con lo stesso entusiasmo ed il candore che lo hanno distinto sin dalle primissime produzioni degli anni '70. Con tutto quello che è stato detto e scritto sul Dario Argento della seconda metà di carriera, il regista italiano più importante di sempre del genere horror ha imbracciato una nuova ed ennesima sfida. La sfida primariamente è verso i critici e quella fetta di haters che lo aspettano sempre al varco non appena si sparge la notizia di una nuova pellicola in lavorazione. Odiatori militanti che hanno un'opinione fatta, salda e consolidata sul film prima ancora che sia stata materialmente girata la prima scena. Occhiali Neri è stato veicolato con un teaser di 20 secondi nei quali un po' furbescamente i distributori avevano convogliato tutto il gore e lo splatter che il film ha da offrire, mettendo molto pepe ma anche illudendo gli spettatori che auspicavano che il film andasse per metri di intestino eviscerato anziché per pagine di sceneggiatura. Sappiamo che era già in ponte negli anni '90 questa storia di serial killer e prostitute ma che, per traversie produttive, non se ne fece niente (anche se Argento aveva già addirittura fatto dei sopralluoghi nel quartiere Esquilino di Roma per gli esterni). Grazie all'interessamento (fattivo ed anche economico) di Asia Argento lo script si è poi definitivamente concretizzato, sono arrivati i finanziamenti (anche dalla Francia) e Occhiali Neri è approdato in sala, sancendo con la sua eclissi di sole iniziale, il sigillo (si spera terminale) del periodo di pandemia che ha azzannato l'umanità e contribuito a ritardare ulteriormente la realizzazione di questa opera, il diciannovesimo titolo cinematografico di Argento (al netto della tv e del suo episodio contenuto in Due Occhi Diabolici).
Occhiali Neri l'ho visto con gli occhi dell'affetto, per quanto sia consapevole che la scia recente di Argento sia del tutto insoddisfacente, e che lavori come La Terza Madre, Giallo, Dracula 3D siano stati assai deludenti (e frustranti). Con la stessa - spero - obbiettività, dico che Occhiali Neri inquadrato in una prospettiva diacronica (il divenire della filmografia di Argento dal 1970 ad oggi) è un piccolo passo in avanti rispetto agli ultimi 15 anni, anche se preso in sé è un film modesto. Come mi capita sempre più spesso con i lavori di Dario (che chiamo così non per fare l'amicone ma per esprimere lo stesso sentimento che si prova per un proprio parente caro, che si va a trovare sempre volentieri e del quale si aspetta a braccia aperte una visita), in una sua opera trovo singoli aspetti apprezzabili, delle scene, delle inquadrature, delle intuizioni, sebbene magari circondate da scelte che non mi hanno soddisfatto. Anche Occhiali Neri è così. La parte iniziale (diciamo fino all'incidente della Pastorelli compreso) è assolutamente a fuoco, coinvolgente, ipnotica. Ci sono le violente cromìe argentiane (la Pastorelli vestita di un rosso sgargiante, nel prato, che inforca gli occhiali per osservare il compiersi dell'eclissi); i primi piani della protagonista molto intensi, quelli in auto, quello iconico alla fine, quando tutto si è compiuto (di una bellezza e di una potenza struggenti); il primo omicidio (sebbene sia completamente decontestualizzato ed irreale, con un cespuglio che sbuca dal niente, nel bel mezzo della città), l'eclissi usata come vago gancio soprannaturale e presagio di sventura (oltre che concreta metafora dell'oscuramento), nonostante poi la storia sia estremamente concreta e radicata nella realtà. Mi è piaciuta Asia in un ruolo e con una fisionomia che non possono non ricordare Daria Nicolodi. Ho adorato la parte urbana del film, quando Asia e Ilenia girano la città, ritratta in modo placido, amabile, carezzevole. Un senso di pace immenso. Sicuramente la prima metà di film è nettamente preferibile alla seconda (anche come fotografia) che tuttavia però è quella dove la tensione più esplicita si concentra, mentre prima tutto è rivolto alla costruzione e ad una inquietudine più trattenuta, strisciante, carsica.
La musica è forse la più brutta che Argento abbia mai avuto in un suo film, invadente, caciarona e mal usata per commentare le immagini (s'intende, a mio gusto naturalmente). Sulla Pastorelli non sono riuscito a sciogliere il giudizio. Il personaggio le calza a misura, è pur sempre una ragazza romana che esercita una "professione" che non prevede master e specializzazioni ad Harvard, e complessivamente devo dire che si tratta forse del ruolo più maturo e lontano dalla coatta che abbia interpretato sin qui, tuttavia c'è ancora qualcosa che stona, dei tratti di acerbità e di approssimazione che ne segnano la performance recitativa. Argento poi si arrischia su due binari che di solito vanno a finir male nel cinema, i bambini e gli animali, soprattutto se si tratta di scelte narrative sostanziali e non collaterali. Il piccolo Xinyu Zhang (cinese con poca fantasia battezzato "Chin") è avulso dal clima ansiogeno del film e dà più l'idea del classico bambino delle fiction televisive. Per quanto riguarda il cane - SPOILER: la scena della morte del serial killer è insostenibile, oltre ad essere piuttosto sbrigativa come messa in scena (tant'è che sfido qualunque osservatore a non essere rimasto sorpreso, dopo aver visto il coltello baluginare, dal ferimento a morte dell'assassino e, di contro, dalla assoluta incolumità del cane), è davvero difficile da credere. Abbiamo un killer che terrorizza la città, che squarta a morte prostitute su prostitute, che la Polizia non riesce a braccare, e che poi muore sostanzialmente morso da un cane, nella maniera più stupida e banale possibile.
In Occhiali Neri non è interessante scoprire chi commetta gli omicidi ma se e come la Pastorelli ed il suo giovane compagno potranno scamparla. D'accordo, non è la prima volta che Argento compie questa deviazione semantica nella grammatica dei suoi film, tuttavia i personaggi devono comunque avere un loro magnetismo per irretire ed appassionare lo spettatore, e non è questo il caso, fatto salvo per i protagonisti che vediamo continuamente in scena, dunque la Pastorelli (ma più per il suo ruolo che per l'empatia dell'attrice) e Asia, perché per Zhang è davvero difficile provare qualcosa (men che mai per il killer, impalpabile). Quando dal nulla il bambino inizia ad urlare "voglio la mamma, voglio la mamma" - nonostante ne abbia già viste di ogni e abbia sempre conservato una seraficità degna del Budda - pare davvero che qualcuno fuori dal set gli abbia appena intimato di farlo. Vi risparmio i riferimenti interni alla filmografia di Argento che in molti si sono affrettati ad attestare (la cecità, il bambino, Roma, etc.), mentre ho trovato interessante questo bisogno di Argento di porre in evidenza un senso di speranza e di positività nel film, incarnato dal rapporto della Pastorelli con Zhang. Una volta tanto i dialoghi sono centrati ed esprimono una qualche autenticità. L'affettività ed i sentimenti dei personaggi sono percepibili, credibili. C'è anche un forte senso di malinconia che probabilmente deriva tanto dal disincanto di Argento verso un mondo sempre più cinico e feroce, che fatica a comprendere ed accettare, quanto dalla sua carta d'identità. In tal senso l'ultimissima scena del film prima dei titoli di coda ne porta la firma.